Diritto d’autore: è caos, neppure calmo: così Vincenzo Vita, sul Manifesto, descrive il caos che “regna sovrano” nel settore.
Ne ha opportunamente parlato il presidente dell’Arci Walter Massa, che ha denunciato la situazione incresciosa in cui versano tanti circoli territoriali alle prese con il pagamento del diritto d’autore su musica e spettacoli dal vivo richiesto dalla Siae (la tradizionale società adibita alla riscossione) e dalle varie (almeno tredici) strutture alternative legittimate dal decreto legislativo n.35 del 2017, in attuazione della direttiva 2014/26/UE.
Con toni ultimativi e minacce di denuncia si esigono fino all’ultimo euro i proventi maturati per l’utilizzo delle opere artistiche. Peccato che spesso i richiedenti siano ignoti ai fruitori e il caos – neppure calmo- regni sovrano.
Non solo. Il citato testo fa a pugni con un altro provvedimento accompagnato da cori plaudenti, ovvero il decreto n.177 del 2021, che attuava la direttiva 2019/790, oggetto a suo tempo a Bruxelles e Strasburgo di conflitti degni delle più sguaiate curve calcistiche.
Tanto rumore, insomma, per quasi nulla. Testi in contraddizione tra loro e grida manzoniane si intrecciano, conferendo all’insieme della disciplina il vago sapore di una confusa inutilità.
Del resto, l’ascesa impetuosa dell’intelligenza artificiale rende davvero obsoleta una legislazione immaginata per un circuito ristretto al triangolo costituito dagli autori, dal pubblico utilizzatore e dagli esattori. Ora, il quadro si è modificato e il rischio di abbaiare alla luna è altissimo. Naturalmente, mentre gli oligopoli navigano nel labirinto della rete dove guardie e ladri si confondono, sono le realtà piccole e meno tutelate ad assumere il ruolo di vittime designate. Al solito, forti con i deboli, e viceversa.
Insomma, il tema aperto dall’ Arci merita di essere approfondito ed interpella il Parlamento, cui si richiede un intervento chiarificatore, possibilmente equo e culturalmente all’altezza dell’età digitale.
A dimostrazione delle asimmetrie di atteggiamento, è bene ricordare la questione che ha segnato il corso recente degli eventi. Il riferimento è alla controversia che ha visto la contrapposizione tra l’impero di Mark Zuckerberg e la stessa Siae. Meta aveva stabilito di non inserire nelle stories di Instagtam e nei reels di Facebook le canzoni italiane, per sottrarsi al pagamento dei diritti. C’è voluto un intervento dell’Autorità della concorrenza e del mercato per far riaprire il negoziato. Insomma, i potenti si tutelano ergendo muri e trincee, a prova di leggi e di regolamenti.
Vedremo come finirà la disputa, mentre si attende qualche precisa indicazione da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il cui Regolamento in materia è in vigore dal 2014. È bizzarro, infatti, che proprio l’Agcom, vessillifera del terribile diritto della proprietà intellettuale mettendosi il distintivo al petto, svolga qui un ruolo laterale. Il motivo addotto è che non vi è stata un’investitura formale delle parti. Il dubbio rimane: a che servono – allora- la generosa legge istitutiva dell’Autorità del 1997 e quel Regolamento voluto e imposto a tutti i costi?
Si riconosca, alla luce di tale sequenza, che un’occhiuta velleità coercitiva si risolve in un’azione modesta o pressoché inesistente, salvo vessare i soggetti deboli che non hanno possibilità o risorse per opporsi.
Verrà il giorno, dunque, in cui si riconoscerà l’intrinseca fragilità di un’impostazione pensata con la testa ferma all’età analogica, quando il mondo mediale era di maggiore semplicità, nonché ben definito nel tempo e nello spazio.
L’atteggiamento degli Over The Top è grave ed irritante. Se, finalmente, una luce arriva dalle ultime disposizioni europee tese a mettere in capo agli oligarchi dell’infosfera responsabilità dirette, come editori e non semplici veicoli o strumenti di diffusione, il cammino è lungo e impervio.
Vi è pure, però, la necessità di dare uno sguardo alle politiche di Siae e concorrenti. Se è vero che la remunerazione del lavoro intellettuale è sacrosanta, è altrettanto vero che servono trasparenza, giustizia ed equità.
Le rendite di posizione vanno superate.