Il gender pay gap italiano preoccupa Bruxelles: nel mondo del lavoro italiano le disparità fra uomini e donne sono ancora troppo pronunciate.
Anche in Italia si parla tanto di disuguaglianze salariali tra uomini e donne e di promozione di politiche mirate al raggiungimento della parità retributiva nel mondo del lavoro, ma in pratica la situazione è abbastanza critica. Ci sono stati dei progressi, ma il nostro Paese, in confronto ai risultati già raggiunti da tanti altri Stati membri dell’UE, è in evidente ritardo.
Secondo le ultime rivelazioni, in Italia, soltanto un’impresa su cinque considera (e dunque monitora) le disparità salariali di genere. Esistono chiare normative in materia di equità retributiva, ma il problema è che in Italia la maggior parte delle aziende appartiene alla categoria delle microimprese, che è ancora esente dall’obbligo di rispetto delle regole.
L’ISTAT ha di recente rilevato che in Italia le donne guadagnano in media il 5% in meno rispetto agli uomini. Nel settore pubblico, il divario è del 4%, mentre nel settore privato può arrivare fino al 20%. Le donne laureate riescono a guadagnare la metà degli uomini con il loro stesso livello di istruzione.
Bruxelles ha voluto perciò stimolare l’Italia con la direttiva 2023/970: un complesso di regole che mira a rafforzare l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne attraverso la trasparenza retributiva. Esistono dunque dei meccanismi di applicazione con cui il Paese fatica ancora a rapportarsi. Il problema, secondo gli esperti, non è più solo culturale o normativo: mancano gli incentivi alle imprese che possono aiutare a ridurre il gap esistente.
Il discorso è assai delicato, anche perché, oltre a preoccuparsi della parità di trattamento economico, in Italia ci si dovrebbe applicare maggiormente su altre questioni collegate a questa criticità. Come, per esempio, quella delle disparità esistenti nella crescita, nella difesa e nel ruolo genitoriale. E poi nella formazione, nell’avanzamento di carriera, nell’ingaggio e nella gestione del tempo dei lavoratori.
Il divario retributivo in Italia è di certo dovuto a vari fattori, tra cui la persistenza dei vecchi stereotipi di genere, le forme di segregazione verticale e orizzontale (la maggiore concentrazione di maschi in determinati settori e la distribuzione diseguale di uomini e donne lungo la scala gerarchica all’interno di un determinato settore) e l’ineguale distribuzione delle responsabilità genitoriale, con diritti, bonus e incentivi poco funzionali.
Come accennato, è fondamentale dar forma a un sistema che incentivi davvero le imprese ad adottare politiche per ridurre il divario di genere in tutte le aree più critiche. Tante aziende sfoggiano oggi la certificazione di parità di genere. Tale riconoscimento, che attesta l’effettiva implementazione di un sistema di gestione per la parità di genere da parte di una realtà imprenditoriale, un’istituzione o un’impresa, si basa sui requisiti stabiliti dalla prassi UNI/PdR 125:2022 (cioè da una direttiva pubblicata dall’Ente Italiano di Normazione. Ma la richiesta di certificazione avviene ancora solo su base volontaria e la valenza è triennale.
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