Donne d’Impresa: Monique Kraft. da Berna a Firenze “l’hôtellerie” è l’affare di famiglia
È svizzera – Monique Kraft – ma sembra fiorentina a tutti gli effetti. La storia della sua famiglia inizia nel 1851 con l’hotel di famiglia il Bernerhof dove erano di casa la regina di Napoli, Leopoldo re del Belgio, Rockfeller, il Maresciallo Juan Falcon, presidente della repubblica del Venezuela, Gabriele D’Annunzio.
Non a caso, poi, Gerardo Kraft, suo avo, aprì anche il primo albergo a Firenze nel 1883. È una lunga tradizione di hotel di lusso, l’eredità di storia e il patrimonio alberghiero che Monique Kraft porta elegantemente sulle spalle. E non solo lei, perché la tradizione continua oggi, con i suoi 4 figli e ben 8 nipoti.
Monique Kraft, titolare dell’omonimo hotel a Firenze, appena può scappa in campagna. “Avendo 4 maschi molto vivaci l’unico modo di sopravvivenza era fuggire in campagna e così lì l’attività di famiglia è cresciuta”. La famiglia oggi conta altre strutture: Borgo San Luigi, Chateau Villa Sabolini, Podere La Ciabatta e La Certosa di Maggiano a Siena ed ha trasmesso ai figli, l’amore per l’attività di hôtellerie e del vivere nel verde.
Non tutti sanno, però, che nella fiorente Firenze dell’800, che in quegli anni fu anche capitale d’Italia, proprio la famiglia Kraft si distinse per avere esportato – dalla Svizzera in Italia – la migliore tradizione alberghiera elvetica, aprendo i più prestigiosi hotel di lusso della città.
“L’albergheria” è un’arte speciale e anche Monique, come tutti i suoi avi prima e i suoi figli ora, ce l’ha nel DNA. Quasi una malattia, che si trasmette di madre in figlio. Laureata in Economia e Commercio, amante del mare, dei grandi viaggi in barca a vela e non, Monique Kraft vede il bicchiere sempre mezzo pieno.
Per saperne di più di quello che pensa e come vive le abbiamo chiesto:
Oggi l’offerta è quasi solo per la categoria lusso, purtroppo. Il turismo mordi e fuggi molto probabilmente sarà solo giornaliero. Grandi catene stanno investendo capitali enormi per rivolgersi particolarmente ad un mercato estremamente ricco e specialmente proveniente dall’Oriente che non aspira ad altro che a vivere/possedere le nostre ricchezze per godere del nostro territorio che è così speciale.
Personalmente credo che questo aspetto stia regredendo. Quando ho cominciato a lavorare, il rispetto (anche solo per il ruolo) era molto maggiore di oggi. Ai giorni nostri anche grazie alla globalizzazione dove molti dei nostri collaboratori, soprattutto nelle fasce di lavoro semplice, non riconoscono le capacità della donna, spesso come “titolari” non siamo neanche considerate degne del saluto. Quando mio figlio è subentrato ho potuto notare come, pur essendo giovanissimo, ha avuto subito un giusto riconoscimento del suo ruolo con una facilità a me sconosciuta e che solo con il duro lavoro ho potuto conquistare negli anni.
Cosa consigliare? Non ho idea. Ognuno deve portare avanti con tenacia, passione quello per cui si sente portato e che gli piace. Non sempre questo è possibile ma occorre dare sempre un significato naturalmente positivo a quello che si fa, o che si deve fare. Dove investire? E’ un momento storico così difficile che non saprei.
Seguirei i bisogni essenziali dell’uomo. L’uomo è sempre stato curioso e vagabondo per cui investirei sul turismo. L’uomo mangia, e pertanto investirei sull’agricoltura. Ci si veste e quindi investiamo sulla moda. Le donne sono sempre state vanitose e ambiziose e quindi potrebbero primeggiare in questi settori rinnovandoli al passo con i tempi e a seconda delle richieste dei vari Paesi.
Per quanto riguarda la moda mi tornano spesso in mente queste parole di Coco Chanel e che, secondo me sono illuminanti nell’approccio che le donne hanno rispetto a molti temi e non solo al settore del “fashion”: “La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo nelle strade, la moda ha a che fare con le idee con il modo in cui viviamo, con quello che ci accade intorno”.
La prova più difficile? La salute. La mia vita è sempre stata costellata dalla malattia mia e dei membri della mia famiglia. Ho preso la poliomielite alle gambe a 6 mesi e solo a 17 anni, dopo tanto penare e interventi chirurgici, ho potuto camminare.
A 21 anni mio padre si è ammalato senza più riprendersi. Lì è iniziata una lotta ben diversa. Da quel momento ho scoperto un mondo di avvoltoi, di cattiveria, di sentimenti ignominiosi. Tutto questo ha segnato la mia vita, le mie scelte, il mio lavoro. Avevo un contratto di lavoro con un’azienda farmaceutica a Bangkok a cui ho dovuto rinunciare per rimanere a Firenze e difendermi dai tentativi di chi avrebbe voluto portarmi via tutto.
Questa mia gioventù difficile e di quotidiana lotta ha fatto sì che per me non ci sia mai stata una prova più difficile. Perchè nel tempo, la difficoltà diventa allenamento. Oggi che sono “vecchina” ma con l’esperienza di una vita vissuta appieno, questo è il periodo più facile e sereno e cerco di godermelo. Perché, in effetti, tutto è diventato un “déjà vu”.
Conoscendo bene 4 lingue mi sarebbe piaciuto trovare un lavoro che mi portasse non solo a viaggiare molto ma a vivere per un periodo nei i vari Paesi, perché solo lavorando si conosce il territorio, la gente, la loro cultura. Sicuramente in questo senso il turismo è un po’ viaggiare: non sei tu che ti muovi è il mondo che viene da te.
L’avere strutture in campagna permette proprio questo: avere maggiori contatti con la clientela, imparare a conoscerla, perché le persone sono una piccola fotografia del loro mondo che vengono ad incontrare il nostro.
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