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Donne d’Impresa: Roberta Pasqualetti, medico e “cervello in fuga” che ritorna in Italia

Donne d’Impresa: Roberta Pasqualetti, medico e “cervello in fuga” che ritorna in Italia.

Il Meyer, ospedale pediatrico di Firenze, è secondo solo al Bambin Gesù di Roma ed è proprio lì che, ogni giorno, troviamo Roberta Pasqualetti a disposizione come  medico chirurgo con specializzazione in Oftalmologia.

Poteva sembrare la fuga di un nostro brillante cervello italiano, la sua. E invece è tornata in Italia. Quali ragioni l’hanno riportata a Firenze? E se tornasse indietro rifarebbe tutto quello che ha fatto?

Ho accettato l’opportunità di lavorare negli Emirati per curiosità professionale e per potermi confrontare con un sistema diverso dal nostro. È stata un’esperienza importante e che ha arricchito il mio bagaglio culturale, sia dal punto di vista professionale che umano. Sono partita sapendo che sarei tornata: qui ho il mio nucleo familiare ed il lavoro che mi piace. Lo rifarei? Nonostante le difficoltà sarei pronta a ripartire se si presentasse una nuova opportunità.

Parliamo di solidarietà, per quelle povere donne Afghane e di altri Paesi molto meno fortunati. Quale reazione hanno le donne arabe nei confronti di una condizione femminile così limitata e privata di ogni libertà di esistere?

Il mondo arabo femminile racconta di grandi sofferenze individuali, anche nelle situazioni di agio economico. Gli Emirati rappresentano il paese arabo più tollerante ed internazionale. Le donne possono studiare, guidare, uscire da sole. Pur restando molte le regole imposte dalla religione e le conseguenti restrizioni (una per tutte i matrimoni combinati), c’è un tentativo di apertura per la loro inclusione nella società e nella vita pubblica.

Ma non è così, purtroppo, in tutto il mondo arabo. Le donne arabe non hanno un peso reale nella loro società al di fuori della considerazione di procreatrici di figli e vivono sottomesse agli uomini che da padri, fratelli e mariti ne dispongono secondo il loro giudizio.

Poi c’è il caso Afghanistan. Le donne afghane si trovano ora in una situazione di totale privazione del diritto. Prima del 2021 erano libere dai vincoli religiosi imposti alle donne in altri Paesi islamici. Non avevano l’obbligo di coprirsi con il burka, potevano studiare, lavorare e muoversi liberamente. Ora questa condizione è totalmente negata. È una regressione. Una soppressione dei diritti acquisiti. Non possiamo non essere solidali con queste donne che desiderano affrancarsi da un medioevo culturale e sociale. 

Possono esserci delle sinergie fra i nostri ospedali italiani e quelli arabi, visto che lei ha potuto toccare con mano le varie problematiche e le due realtà che sono così diverse fra loro?

Il sistema è diverso. Fuori dall’Italia la sanità rappresenta un business. Negli Emirati il modello assistenziale è di tipo americano con una sanità privata, molto diffusa, basata sul sistema assicurativo ed una sanità pubblica, meno rappresentata, per assistere chi non ha sufficiente copertura assicurativa.

Esistono collaborazioni tra Emirati e Paesi esteri per la cura di casi complessi che non possono essere gestiti localmente per competenza o per motivi medico legali (per esempio non è consentita la donazione d’organo per trapianto) coordinati essenzialmente da paesi anglosassoni che conoscono bene questo modello di sistema. Il titolo di studio Italiano non è riconosciuto come quelli americano ed inglese e anche questo limita molto la possibilità di un serio dialogo in materia sanitaria con il nostro Paese.

 Noi siamo molto  ascoltati, ci seguono molto di più in materia di moda e prodotti alimentari.

C’è qualche altro sogno nel cassetto che potrebbe ancora avverarsi?

Organizzare una collaborazione professionale sanitaria con altri Paesi è un’opportunità sfumata ma che non ho abbandonato del tutto. Ma anche il progetto di un B & B in campagna come secondo lavoro nel futuro, mi piacerebbe tanto e pubblicare un libro di cucina con le ricette delle mie nonne è tra le cose che mi propongo di fare. 

Un consiglio per tutte quelle giovani che desiderano intraprendere l’attività – che poi è una vera missione – di medico. Lei, ci ha già detto che voleva fare la dentista e poi – invece – si è specializzata in oftalmologia. Lo rifarebbe?

Mi sono iscritta a Medicina perché volevo fare la dentista. Ma durante il corso di studi mi sono appassionata all’oftalmologia dimenticandomi l’odontoiatria. Non ho alcun pentimento. Spesso incontro giovani medici all’inizio della loro carriera ed il messaggio che cerco di trasmettere è quello di seguire le proprie attitudini (che non sempre rappresentano la strada più facile nella scelta immediata). E di confrontarsi il più possibile con il resto della comunità scientifica, italiana ed estera. La vita professionale copre una grossa percentuale del nostro tempo e può interferire con la sfera strettamente privata. Pertanto se ti piace quello che fai tutto sembra più facile e riesci a superare meglio le difficoltà di tutti i generi, legate alla professione e fuori dal lavoro. E ti aiuta a trovare le motivazioni essenziali per migliorare. 

(Lo rifarei? Certo che sì! Se ci sono dubbi allora non sono riuscita a trasmettere il mio entusiasmo).

Marco Benedetto

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