Poche donne al lavoro, così perdiamo 7 punti di Pil

ROMA – Sette punti di Pil. Sette punti di quel Prodotto interno lordo che, basta leggere i giornali, in Italia  è una sorta di malato cronico. La stima l’ha fatta la Banca d’Italia: nel nostro Paese, si sa, le donne lavorano poco rispetto agli uomini, ma se lavorassero come loro guadagneremmo 7 punti di Pil. Quanto nemmeno il più roseo dei decreti sviluppo potrebbe mai fare.

Alcuni numeri: nel 2010 era occupato il 46,1% delle donne tra 15 e 64 anni, contro il 67,7% degli uomini. “Il divario è particolarmente pronunciato nel Mezzogiorno, dove solo tre donne su 10 lavorano”, spiega Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia.

Insomma l’Italia cresce al rallentatore anche perché non utilizza il lavoro delle donne e dei giovani. Se riuscissimo a centrare l’obiettivo di Lisbona dell’occupazione femminile al 60%, il Prodotto interno lordo crescerebbe del 7%. Secondo Confartigianato, che ha fatto un calcolo basato sul Pil pro capite, sarebbe dell’8,2% il progresso del Pil se le donne lavoratrici arrivassero all 58,1%, cioè la media Ue nel primo trimestre del 2011.

Qualcosa cambia ma troppo lentamente. “I mutamenti sono lenti, troppo lenti. Secondo alcune stime “eroiche” ci vorrebbero oltre 50 anni per arrivare a una pari presenza nelle posizioni apicali ad esempio nelle carriere accademiche. La scarsa valorizzazione delle donne è un vero e proprio spreco di talenti”, dice Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia. “Il reddito delle donne, afferma, contribuisce non solo al benessere familiare, ma anche alla massa fiscale e previdenziale, nonché alla domanda di servizi di cura alle persone che, per loro natura, sono radicati nel territorio. In questo modo l’occupazione femminile attiva un circolo virtuoso che genera, oltre al reddito, anche occupazione e imprenditoria aggiuntiva”.

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