Lavoro, donne più brave ma meno pagate. Camusso: “Crisi non aiuta”

ROMA – Le differenze tra uomo e donna in busta paga si vedono ancora. Anche se le lavoratrici sono più colte, produttive e preparate, hanno stipendi più bassi degli uomini fino al 37 percento in meno. Questa l’ultima fotografia restituita da uno studio della Fondazione Rodolfo Debenedetti, intitolato “Il gap salariale nella transizione tra scuola e lavoro”. Il fatto nuovo secondo i ricercatori della Fondazione Debenedetti è che spesso ci sono scelte determinate dalle stesse donne.

Uno dei presupposti dello studio, finora poco esplorati, è che le donne guadagnano meno perché al momento della scelta della facoltà si orientano verso studi umanistico-letterari destinati a condurle verso professioni scarsamente retribuite. Un’analisi che può sembrare eccessivamente riduttiva ma che giustifica quasi un terzo della disparità salariale.

E anzi, le conclusioni positive dell’indagine, sono almeno due: il sesso non pesa in termini di occupazione perché la differenza fra maschi occupati e donne occupate non va oltre il 7 per cento. Né le donne decidono come proseguire gli studi in base alle prospettive di un futuro matrimonio “ricco”. Si potrebbe presumere – è scritto nel rapporto – che gli uomini più spinti alla carriera e all’inseguimento di un alto reddito, pensino sia meglio sposare una donna che, avendo scelto studi umanistici, sia più propensa a professioni meno competitive e meno pagate e più interessata alla gestione della famiglia. Ma, almeno fra i ragazzi e le ragazze della Milano “bene”, guardando ai numeri, ciò non sembra avvenire.

Avviene piuttosto che le donne scartino con una certa costanza le facoltà con sbocchi professionali più redditizi. Lo studio le indica con chiarezza: medicina, ingegneria, economia, matematica.Medicina a parte (dove le quote femminili e maschili si eguagliano) le facoltà più “redditizie” sono state scelte dal 65 per cento dei ragazzi del campione e da solo il 20 per cento delle ragazze. Gli indirizzi legati alle professioni peggio remunerate (Scienze dell’educazione, Scienze umanistiche, Architettura e design) sono stati invece scelti dal 35 per cento delle femmine e dal 10 per cento dei maschi.

Ma qual è la ragione che si nasconde dietro queste decisioni? Lo studio individua due possibili motivazioni, anche se difficilmente misurabili perché legate alla storia personale di ognuno. Le donne sono meno competitive dei maschi. Pesa il ruolo che si sentono in dovere di coprire nella famiglia e quindi – ancora una volta – pesa la mancanza di infrastrutture e welfare che permettano alle donne di dedicarsi al lavoro senza preoccuparsi dei bambini.

E in effetti la crisi non aiuta l’evoluzione: “In questi ultimi anni la contrattazione è stata focalizzata sulla difesa dei posti di lavoro e ha trascurato la questione femminile. Però le donne sono cambiate e limiti e pregiudizi si possono superare”. E’ la tesi del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che in un’intervista a Repubblica sulle differenze di trattamento e di stipendio che ancora esistono tra uomo e donna in Italia dice: “Il punto centrale del problema resta l’esistenza del pregiudizio: potendo scegliere tra due ingegneri l’azienda sceglie il maschio perche’ non va in maternita’ e perche’ pensa che i figli costituiscano un problema”. Per questo servirebbero “infrastrutture e asili, per consentire alle donne di lavorare con più facilità”. Mentre da parte del governo Monti c’è stata “mancanza di coraggio e di innovazione”, a partire dagli “interventi sull’età pensionabile e alla disparità di trattamento in materia di maternità tra chi ha un rapporto a tempo indeterminato e chi è un co.co.pro” nonostante la contribuzione sia stata innalzata. Mentre il rafforzamento dei congedi di paternità, “due giorni più uno”, sembra “una operazione fatta più per fregiarsi del titolo e lanciata in un periodo in cui, vista la crisi e visto che i padri sono quelli che nella coppia guadagnano di più, la sensibilità generale potrebbe non apprezzare”.

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