ROMA – Dopo gli “esodati” è il turno degli “esodandi”. Il neologismo, utilizzato da Paolo Griseri su Repubblica, serve a individuare quei lavoratori che si preparano a diventare esodati. Gli esodandi potrebbero tornare a lavoro per maturare i crediti necessari ad andare in pensione secondo la nuova riforma. Per esodati si intendono quei lavoratori che rischiano di trovarsi senza pensione perché, credendo di averne diritto secondo le vecchie regole, adesso si troverebbero le regole cambiate in corso con la riforma del governo Monti.
Spiega Griseri che, mentre per i 65 mila esodati stimati il governo avrebbe già trovato una soluzione, per gli esodandi il ministero del Lavoro sta studiando possibili “vie di fuga”.
Le stime, dice Griseri, “dicono che i lavoratori oggi in mobilità verso la pensione dovrebbero essere circa 130 mila mentre versano contributi volontari in 200 mila. E’ per questa platea che al ministero del Lavoro si sta studiando una soluzione. “Va premesso – dicono i collaboratori di Fornero – che si tratta di una platea virtuale, nel senso che nessuno sa quanti si troveranno effettivamente senza reddito in conseguenza dell’allungamento dell’età pensionabile”.
Secondo Griseri “lo Stato non sembra essere in grado oggi di garantire a tutti la copertura, l’allungamento del ponte già assicurato ai primi 65 mila. E’ per questo che si sta studiando un decreto in grado di risolvere, almeno in parte, la questione.
Ecco dunque la possibile soluzione: “L’idea di fondo è quella di favorire il ritorno al lavoro degli esodandi per il tempo necessario a riconquistare la riva della pensione. Un periodo lavorativo che dovrebbe durare due-tre anni. Il decreto potrebbe prevedere una sorta di corsia preferenziale per l’assunzione degli esodandi trasformandoli in una specie di categoria protetta anche con vantaggi per le imprese che li assumono”.
Ma dove andrebbero a lavorare a quel punto gli esodandi? Non certo dal posto in cui hanno lavorato fino a quel momento: “Quel che è certo è che gli esodandi non potranno tornare, se non in casi particolari, nel luogo di lavoro da cui sono usciti negli anni scorsi. Perché spesso la loro uscita dagli organici è stata contrattata dai sindacati con la stabilizzazione di giovani precari. Clamoroso il caso delle Poste dove nel 2009 migliaia di dipendenti sono andati in mobilità in cambio dell’assunzione dei figli. O quello della Fiat di Termini Imerese dove il piano di mobilità verso la pensione è stato firmato dal ministero dello Sviluppo economico negli stessi giorni in cui il mistero del lavoro decideva l’allungamento dell’età pensionabile”.
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