Europa, per combattere la crisi serve l’unione fiscale

BRUXELLES – La crisi del debito pubblico europeo minaccia l’integrità monetaria dell’Unione Europea e perfino la sua solidità politica. Gli analisti ed i dirigenti europei guardano con apprensione gli sviluppi della situazione ad Atene ed a Roma. Là dove, nell’antichità classica, il concetto di Occidente europeo è stato fondato, si annida oggi il germe della dissoluzione del progetto politico europeo. Ma l’Europa potrebbe secondo diversi critici riuscire a superare questa lunga impasse. Se così sarà, lo potrà solo per merito di una evoluzione politica – quella che la porterà verso i cosiddetti Stati Uniti d’Europa.

Recentemente, racconta il New York Times, un dirigente di una banca centrale europea si è incontrato con un direttore finanziario americano. Al momento di ritrovarsi, quest’ultimo brandiva una copia degli Articoli della Confederazione del 1781. L’insieme di quegli articoli furono in vigore negli Stati Uniti solo fino al 1786, quando la prima costituzione scritta degli Stati Uniti fu sostituita dall’attuale. Cinque anni dopo la loro stesura, la revisione delle leggi fondamentali si era fatta necessaria a causa delle numerose difficoltà economiche e politiche in cui si dibattevano gli stati americani. La soluzione che fu trovata – e che dura tuttora – fu un governo centrale più forte, con più potere nelle questioni economiche.

Dopo 18 mesi di crisi, l’Europa è arrivata a quel punto. Per fermare la crisi ci vuole un governo centrale più forte e che gli stati membri rinuncino ad alcune delle loro storiche prerogative. Sempre più nelle stanze del potere di Bruxelles e delle capitali europee si prende atto di questa fatalità e si discute di una maggiore integrazione politica tra i paesi membri dell’Unione. «Se i politici vogliono che l’economia si stabilizzi – afferma Antonio Borges, direttore dell’unità europea del Fondo Monetario Internazionale – devono affrettare i cambiamenti strutturali e l’integrazione economica. Per metterci la crisi alle spalle, abbiamo bisogno di più Europa, non meno. E ne abbiamo bisogno adesso».

I passi verso la maggiore integrazione sono stati già delineati in diverse occasioni. Alla fine del processo dovrebbe esistere una sorta di entità finanziaria centrale, come il Dipartimento del Tesoro negli Stati Uniti. Se una struttura di questo tipo fosse già esistita, gli sforzi per salvare la Grecia non avrebbero necessitato una lunga trafila e le politiche fiscali dei 17 paesi membri avrebbero oggi un obiettivo comune, una visione armonica. Se la strada verso un tale organismo è ancora lunga, altre misure sono più attuabili nel breve periodo.

Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy, hanno proposto il mese scorso nuove tasse sulla transazioni finanziarie nell’euro-zona e standard per le imposte sul reddito della società (per evitare che nessun paese possa attirare imprese e lavoro a detrimento degli altri grazie a fiscalità di vantaggio). Perfino la Germania – tradizionalmente gelosa della sua indipendenza, specie economica – ha ormai capito che l’unione fiscale sta diventando sia necessaria che inevitabile. Quando quest’unione sarà reale, se mai lo sarà, quella sarà la fine della lenta, drammatica, metamorfosi di un club monetario in un’unione politica.

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