ROMA – “Fiat ha bisogno di Chrysler più che mai”: il Wsj vede il bluff di Marchionne. La trattativa tra Fiat e Chrysler per giungere alla completa fusione è a un momento di stallo, quello dove i contendenti, come in una partita di poker, esibiscono la faccia feroce provando a nascondere il bluff. Chi rischia di perdere di più? Per il Wall Street Journal di oggi (25 settembre) la risposta è chiara: “Fiat ha bisogno di Chrysler più che mai”, la minaccia di Sergio Marchionne di recedere dall’alleanza se non raggiungerà il pieno controllo del gruppo (e se la controparte insiste a lanciarsi sul mercato azionario) è depotenziata da numeri e performance industriali che rivelano quanto cruciale sia per Torino la partnership.
Nel secondo trimestre Fiat ha fatto utili per 435 milioni di euro, senza il contributo di Chrysler avrebbe registrato un passivo netto di 247 milioni. Nel 2012 il gruppo ha perso un miliardo di euro al netto di Chrysler, e nel primo semestre di quest’anno il passivo è stato di 482 milioni. La liquidità totale di Fiat si attesta a 21 miliardi di euro, la metà senza considerare Chrysler.
Veba, il fondo che detiene per conto del sindacato Uaw il 41,5% di azioni Chrysler, ha stimato la Ipo, l’offerta pubblica di acquisto, come l’arma più efficace per spuntare il prezzo migliore per le azioni, anche al rischio che lo sbarco sul mercato minimizzi il peso delle sue azioni, a rischio di pregiudicare la raccolta finanziaria per garantire le prestazioni sanitarie ai suoi iscritti.
Ma la minaccia è reale, tanto che Marchionne ha salutato la quotazione della quota in mano a Veba come irricevibile: per Fiat, significherebbe non avere il controllo di quella che sarebbe una holding. Di più, non potrebbe attingere al capitale Chrysler, non potrebbe investire per colmare il gap con i competitors visto che il business europeo al momento è in profondo rosso.
“Per questo lo stallo attuale è destinato a sciogliersi in un accordo (sul prezzo da assegnare alle azioni Veba, ndr.), magari all’ultimo istante (o alla dodicesima ora, come dicono gli americani)”, Il Sole 24 Ore.
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