La fu Fiat, oggi Stellantis, nelle parole del presidente, John Elkann: “Con la mia famiglia siamo impegnati in prima persona nel nostro Paese in una storia imprenditoriale che copre tre secoli [la Fiat fu fondata nel 1899]: costruiamo con orgoglio un futuro forte in Italia e nel mondo”. È una bella intervista, rilasciata al quotidiano Avvenire, n cui Elkann rivendica con orgoglio il ruolo della famiglia Agnelli nella storia d’Italia, nel salvataggio dell’industria dell’auto, nel mantenimento di decine di migliaia di posti di lavoro. Unico neo, il riferimento alla madre e alle vicende giudiziarie che la contrappongono ai tre figli Elkann, John, Lapo e Ginevra)
L’intervistatore, Marco Ferrando , ricorda che il primo giugno 2004 iniziava l’era Marchionne. Non viene ricordato il contributo di Gianluigi Gabetti al salvataggio della proprietà. Risponde Elkann:
“Vent’anni fa tutti davano la Fiat per morta”. Ci fu gente che scommise, e perse milioni, sul fallimento dell’azienda. Indimenticabile l’umiliazione inflitta da Silvio Berlusconi al presidente di Fiat, Paolo Fresco, e all’ad Paolo Cantarella, costringedoli a una lunga anticamera nella sua villa San Martino, dove erano andati in pellegrinaggio per chiedere aiuto. Resta magistrale il racconto di Giorgio Bocca.
Con orgoglio ben giustificato Elkann prosegue: “Ma non è andata così: grazie all’impegno della mia famiglia, la guida di Sergio e il lavoro di tutte le persone coinvolte, abbiamo cambiato un destino che sembrava segnato. Questo ci ha inculcato un forte senso di sopravvivenza, che alla fine è il tratto comune delle quattro società che oggi compongono Stellantis: Fiat, Chrysler, Peugeot e Opel.
Marchionne, dice <elkann, “ha trasformato la Fiat e le ha permesso di cogliere una sfida come quella di Chrysler, che le ha aperto le porte del mondo. E poi ha dato avvio alla trasformazione della Fiat in quattro realtà competitive sui mercati globali: Stellantis, e poi Ferrari, Cnh e Iveco”.
Fu la strada tracciata da suo nonno Giovanni Agneli e da suo zio, Umbrto Agnelli che esplosero la vecchia Fiat monolitica in una dozzina di aziende autonome sui rispettivi mercati.
Per molti osservatori, compresi i sindacati, dal punto di vista industriale in questi vent’anni l’Italia ci ha perso più che guadagnato: perché?
“Guardiamo ai fatti: il nostro destino 20 anni fa era quello dell’Olivetti, una delle grandi realtà del nostro Paese. Che con il susseguirsi di diverse proprietà, cattiva gestione e ingegneria finanziaria che prendeva il posto dell’ingegneria di prodotto, oggi non esiste più. Un’altra possibilità, ugualmente infelice, era la nazionalizzazione, come nel caso dell’Alitalia o dell’Ilva. E invece non è andata così, lo dicono i numeri.
Quali?
Oggi l’insieme delle nostre aziende dà lavoro a più di 74mila persone in Italia, dove abbiamo investito negli ultimi cinque anni 14 miliardi, creando prodotti competitivi sui mercati mondiali.
Domanda: In molti parlano di una Stellantis a trazione francese, se non di una vera e propria vendita mascherata.
“Dicevano la stessa cosa con l’operazione Fca: «Ora comanda Detroit ». La realtà è che Stellantis opera in tutto il mondo, ha forti radici in America, Francia e Italia, e nel suo top management ci sono tante nazionalità: l’ad è portoghese, la responsabile finanziaria è americana, il capo della tecnologia è croato. Guardando ai marchi: il responsabile del marchio Jeep è italiano, quello di Peugeot inglese, quello dell’Alfa Romeo è francese. È nel pieno rispetto delle identità nazionali che sta la vera forza e la ricchezza di Stellantis.
“Oggi la partita per la sopravvivenza si gioca tutta sulla velocità: quella con cui i costruttori storici riusciranno ad adattarsi all’elettrificazione, ma anche la rapidità con cui i nuovi protagonisti si affacceranno sul mercato”.
Non vede una questione di profitti eccessivi?
Nella vita delle aziende, i profitti sono importanti per investire nel futuro. E quando ci sono, vanno condivisi tramite le tasse, i premi e i dividendi. Da quanto è nata, Stellantis ha distribuito 6 miliardi di euro in premi ai lavoratori e ha lanciato un piano di azionariato per i dipendenti che ha raccolto grande successo. E in Italia i premi annuali medi sono cresciuti da circa 1.400 euro nel 2022 a oltre 2.100 nel 2024, legati al miglioramento dei nostri risultati.
Per la sua famiglia vede un futuro in Italia e a Torino?
“Nonostante il lavoro mi porti prevalentemente fuori dall’Italia, abbiamo deciso con mia moglie di abitare a Torino: qui sono nati i nostri figli e qui sono stati battezzati e vanno a scuola. Le nostre radici sono a Torino, un territorio a cui ci sentiamo legati e sul quale continuiamo a rafforzare il nostro impegno sociale”.
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