Fiat. Ultimatum a Marchionne

Linea di montaggio di motori Fiat

La strategia di Sergio Marchionne procede a tappe forzate e sono i suoi ultimatum, costantemente reiterati, a segnare la rotta. Nessuna deviazione è consentita e la condivisione degli obiettivi, spontanea od imposta poco importa, assolutamente obbligatoria. Ora, però, potrebbe essere arrivato il momento di rispedire al mittente alcuni di questi ultimatum , troppo spesso accettati del tutto acriticamente, forse perché finiscono per far leva su sensi di colpa a lungo coltivati.

Ultimatum N. 1

Basta con la storia dell’Italia da evitare come la peste. In Italia la Fiat detiene il 30% del mercato, una quota che, sia pure in progressivo calo, discende direttamente da quella vocazione al protezionismo così a lungo coltivata. Ancora oggi nessuna marca detiene una quota simile all’interno del suo mercato di appartenenza. Ultimatum a Marchionne perché ringrazi l’Italia e gli italiani di salvare la faccia europea ad una Fiat che, senza il mercato locale, vedrebbe la sua quota ridotta ad un marginale 3-3.5%.

Ultimatum N. 2

La pianti il prima possibile con la storia del costo del lavoro. Il costo del lavoro incide sul costo totale di un auto di piccola/media cilindrata per il 6% ed è quindi del tutto marginale in termini di competitività sul mercato. Quello che conta è la competitività del prodotto come dimostra il caso della Volkswagen Golf, prodotta e con forte redditività, nella “cara” Germania. E se ha tempo ci spieghi perché è improrogabile la chiusura dello stabilimento di Termini Imprese a causa dei troppo onerosi costi di trasporto delle componenti mentre è ipotizzabile che Mirafiori assembli parti di veicolo proveniente dagli Stati Uniti e destinato a ritornare, una volta completato, sul mercato americano.

Ultimatum N. 3

La produttività è importante ma quello che si produce lo è ancora di più. Basta con il confronto con gli stabilimenti polacchi. Li si producono le auto che si vendono. A Mirafiori le linee di montaggio sono state inattive per il 50% del tempo e a Pomigliano per il 75%. Per colpa degli operai ? No. “Colpa” dei clienti che non volevano saperne di Fiat Musa, Lancia Ypsilon e Alfa Romeo 159.

Ultimatum N.4

E’ ora che Sergio Marchionne ci spieghi i suoi programmi per quello che riguarda il prodotto. Fino ad ora su questo tema è stato a dir poco reticente. Con qualche ragione. Dal 2004, l’anno dell’avvento al Lingotto, si è visto davvero poco. Lancia Delta, Alfa Romeo Mito e Giulietta. Tre modelli in sei anni. Questa sì è una produttività degna di Montecitorio. E così i modelli che tengono in vita il suo regno sono quelli che si è trovato al suo arrivo. A cominciare dalla Fiat 500 che, sia pure in veste di prototipo, era stata presentata al salone dell’auto di Ginevra del 2004 e che Marchionne aveva subito bocciato, salvo poi cedere alle insistenze di Lapo Elkann. Stessa storia alla Chrysler dove il manager svizzero canadese ha potuto gestire il lancio di una Jeep Cherokee confezionata dalla Mercedes prima dell’abbandono della marca americana. E che dire del Multiair che ha stregato Obama: era già una matura realtà nel momento in cui Marchionne ha fatto il suo ingresso alla Fiat.

Ultimatum N. 5

Sia finalmente svelato il piano gamma per gli anni futuri. Se i nuovi modelli sono solamente il risultato del “gioco delle tre calandre”: Lancia, Alfa Romeo e Chrysler, da applicare indifferentemente sullo stesso modello allora c’è davvero ben poco da sperare perché con questi interventi anche riducendo le pause sul lavoro, i tempi della mensa, aumentando le ore lavorate e debellando l’assenteismo, il vero problema degli operai sarà quello di occupare il tempo libero. E così appare evidente come la strategia più volte dichiarata da Marchionne: “inutile lanciare nuovi modelli in tempi di crisi” sia soltanto un paravento destinato a nascondere l’inconsistenza di un piano sviluppo della gamma prodotto asfittico per mancanza di investimenti. Ma mentre l’uomo in maglione gestisce come meglio non si può la “Fabbrica di auto che non produce auto” gli altri vanno per la loro strada e continuano a lanciare modelli su modelli.

Perché sono meno furbi di Marchionne ? Non si direbbe. Almeno a giudicare dai risultati. Fiat perde quote, scavando un baratro sempre più profondo tra aspettative sempre più ambiziose e realtà sempre più catastrofiche, mentre i costruttori tedeschi, ma anche quelli francesi, occupano i posti lasciati liberi a suon di assunzioni e straordinari (in patria). E non li cederanno certamente quando dall’impero Fiat arriveranno finalmente le nuove proposte. Anche perché quei posti rendono niente male.

Mercedes, BMW (al netto di Smart e Mini) e Audi vendono 50.000 auto al mese con una redditività media di circa 3.500/3.800 euro al pezzo. Sono gli stessi numeri (di vendita) di Fiat ma ben diverso è il margine di contribuzione di modelli che si arrestano sulla soglia del segmento C, quello della Golf per intenderci, ove la Bravo non supera le 4.000 unità al mese. Ed intanto dall’oriente il raggruppamento Hyundai-Kia continua a rafforzarsi con oltre cinque milioni di auto prodotte all’anno.

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