Sul terreno dell’occupazione il Bel paese, come ricordano a ogni pie’ sospinto i vari Tremonti, Sacconi & c., se la passa meglio di molti suoi partner Ue: “la nostra disoccupazione è a un livello distante quasi due punti dalla disoccupazione media europea”, ricorda ad esempio il ministro del Welfare, pur riconoscendo che quell’8,7 per cento (che non è proprio poco) sarebbe superiore al 10 se non vi fosse la cassa integrazione a velare la realtà.
Osservandola più da vicino, la “normale” (in anni di crisi) disoccupazione italiana presenta però almeno sei punti di drammatica criticità:
- I giovani tra 15 e 25 anni sono disoccupati quasi al 30 per cento e anche quelli tra 25 e 30 non se la passano molto meglio;
- Esiste una fetta di over-45 che hanno perso il posto e non riescono più a rientrare nei ranghi degli occupati. E’ un gruppo numericamente limitato ma strutturalmente assai difficile da riassorbire e portatore di un malessere sociale acuto;
- Il tasso di occupazione italiano, pari al 57 per cento delle persone in età da lavoro, è particolarmente basso rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei, anche a causa del fenomeno dei cosiddetti “scoraggiati” – quelli cioè che non cercano più lavoro perché lo ritengono introvabile – che è in Italia molto forte, in aumento e contribuisce a edulcorare le statistiche;
- E’ in forte crescita la quota di lavoro a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato: secondo una ricerca Uil il 76 per cento degli assunti tra gennaio 2009 e giugno 2010 erano “precari”. Uno studio su cinque regioni del Nord più le Marche ha stabilito che solo il 15 per cento dei nuovi occupati del 2010 ha ottenuto un lavoro a tempo indeterminato, l’85 per cento sono stati invece chiamati con contratti a tempo determinato (62) o di apprendistato o di somministrazione, tre modalità contrattuali che nel 2008 assorbivano “solo” il 77 per cento del totale degli assunti. Il più recente “Bollettino” della Banca d’Italia nota anch’esso che “sono rimaste estremamente contenute le assunzioni a tempo indeterminato e le trasformazioni dei contratti a termine in posizioni permanenti”. Tra il quarto trimestre 2010 e lo stesso periodo dell’anno precedente si sono persi altri 223 mila posti a tempo indeterminato mentre se ne creavano circa altrettanti di lavoro a tempo determinato o a tempo parziale;
- Il tasso di occupazione femminile non raggiunge il 50 per cento (46,5);
- La disoccupazione è particolarmente elevata nel Mezzogiorno.
Le tradizionali politiche per incentivare l’occupazione, da quelle macro di sostegno alla domanda e agli investimenti a quelle mirate alla formazione e riqualificazione professionale, certamente producono qualche effetto sul tasso di occupazione complessivo ma sembra possano poco nell’aggredire con decisione i punti di alta criticità or ora ricordati. Vi è invece una strada, quella della cosiddetta “flexsecurity”, che pare la più adatta per affrontare i primi quattro problemi ricordati (e in parte anche gli ultimi due).