Flexsecurity: sognando Danimarca

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 19 Aprile 2011 - 19:06 OLTRE 6 MESI FA

La difesa rigida dei lavoratori “garantiti” fa quindi premio sul tentativo di ridurre il lavoro precario che sta dilagando e che priva molti giovani, ma ormai anche molti che sono sempre meno giovani dopo decenni di “flessibilità”, della possibilità di vivere da soli, farsi una famiglia, contrarre un mutuo, avere una minima certezza sul loro futuro professionale. Il progetto Ichino del 2009, peraltro, non ci sembra immodificabile. Ad esempio, per ridurne i costi ed eventualmente dirottare i risparmi su altri aspetti o su altre fasce di lavoratori, il periodo di prova (sei mesi durante i quali non spetta alcun risarcimento speciale per l’eventuale licenziamento) potrebbe venire allungato un po’: sarebbe comunque una situazione più accettabile di un susseguirsi pressoché infinito di contratti a tempo determinato. Con segno opposto, l’indennità di preavviso potrebbe divenire maggiore di un mese (per anno lavorato), anche studiando opportuni sgravi fiscali. Ancora una volta, per quel che riguarda il sindacato, ci vorrebbe un esame di coscienza per stabilire chi effettivamente si vuole rappresentare e comunque se una miope rigidità sia la strada giusta.

Altre obiezioni alla flexsecurity – e non specificatamente alla proposta Ichino – paiono meritare una particolare riflessione. Ad esempio, ha notato l’ex leader carismatico della Cisl Pierre Carniti, la Danimarca destina alla spesa sociale (pensioni escluse) quasi il doppio dell’Italia (18,8 per cento del Pil contro il 10,4) e quindi il welfare che sta “intorno” alla flexsecurity è di ben altra portata (ma i danesi pagano anche molte più tasse).

Un’altra critica sollevata contro la flexsecurity all’italiana concerne la minor dotazione di “virtù civiche” di cui disporrebbe il Bel paese: in molti cioè temono che le indennità previste per i licenziati diventino più appetibili dei posti di lavoro, specie se coniugate a qualche dose di lavoro nero, e che le agenzie per la riqualificazione e il ricollocamento diventino carrozzoni sommersi da ricorsi al Tar, certificati di malattia, truffe e truffette varie per evitare di tornare a “faticare” in occupazioni poco ambite. E’ un rischio reale, ammettiamolo.

Riassumendo: un sistema basato sulla flexsecurity permetterebbe un drastico ridimensionamento del precariato; una flessibilità del lavoro generalizzata – e il cui costo non graverebbe esclusivamente sulle spalle dei più giovani o dei più sfortunati – e quindi l’incentivo ad aumentare i livelli occupazionali; una protezione sostanziosa per i più anziani anche se l’articolo 18 venisse abbandonato. Si apriranno dunque problemi nuovi, come si è accennato, ma il gioco vale la candela.