Furbetti del sussidio? Più 26% licenziamenti disciplinari. Dimissioni online flop

Furbetti del sussidio? Più 26% licenziamenti disciplinari. Dimissioni online flop
Furbetti del sussidio? Più 26% licenziamenti disciplinari. Dimissioni online flop

ROMA – Furbetti del sussidio? Più 26% licenziamenti disciplinari. Dimissioni online flop. Nel 2016 sono aumentati in modo consistente i licenziamenti disciplinari (per giusta causa e giustificato motivo) mentre si sono ridotte le dimissioni. Nell’anno, secondo i dati dell’Osservatorio dell’Inps sul precariato analizzati dalla Cgia di Mestre – i licenziamenti disciplinari sono stati oltre 74.000 con un aumento del 26,5% sul 2015 mentre quelli complessivi sono cresciuti solo del 3,5%.

Secondo la Cgia il dato risente di un fenomeno legato alle dimissioni on line e alla possibilità per il lavoratore licenziato di ricevere l’indennità di disoccupazione Naspi (fino a un massimo di due anni per una spesa per lo Stato che può raggiungere i 20.000 euro) anche se la cessazione del rapporto di lavoro è legata a un motivo disciplinare. Alcuni inoltre non attivano la procedura di dimissioni on line rendendosi irreperibili costringendo il datore di lavoro al licenziamento per giusta causa. La Naspi non è dovuta invece in caso di dimissioni (a meno che non siano per giusta causa, ad esempio se il datore di lavoro non paga la retribuzione).

Non ti presenti al lavoro, impresa costretta a licenziarti e sussidio pronto. “Ad avere innescato l’ascesa dei licenziamenti disciplinari- denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre Paolo Zabeo – è stata una cattiva abitudine che si sta diffondendo tra i dipendenti. Con l’introduzione della riforma Fornero, dal 2013 chi viene licenziato ha diritto all’Aspi (ora Naspi ndr): una misura di sostegno al reddito con una durata massima di due anni che costringe l’imprenditore che ha deciso di lasciare a casa il proprio dipendente al pagamento di una “tassa di licenziamento (il 41% del massimale mensile per ogni 12 mesi di anzianità aziendale maturata negli ultimi 3 anni).

“Se una impresa contribuisce ad aumentare il numero dei disoccupati – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – provoca dei costi sociali che in parte deve sostenere. Negli ultimi tempi, però, la questione ha assunto i contorni di un raggiro a carico di moltissime aziende e anche dello Stato, perché un numero sempre più crescente di dipendenti non rispetta la norma e costringe gli imprenditori al licenziamento e, di conseguenza, fa scattare la Nuova Aspi in maniera impropria”.

Cgil: da Cgia insulto a etica lavoratori. L’aumento dei licenziamenti disciplinari non è collegato alla possibilità di prendere la Naspi né alla procedura delle dimissioni on line ma piuttosto al cambiamento delle regole sui licenziamenti illegittimi introdotto dal Jobs Act. Lo sostiene la Cgil che definisce “una vera e propria provocazione, non accettabile, quella del voler attribuire alla malafede dei dipendenti l’aumento dei licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa”.

Lo afferma la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti commentando l’analisi dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre sui licenziamenti disciplinari. “Non esistono – sottolinea – dati numerici che possano dimostrare quanto l’aumento dei licenziamenti sia attribuibile all’inerzia dei dipendenti che non presenterebbero le dimissioni e quanto, invece, a una facilitazione per i datori di lavoro a licenziare, aiutati oggi da una normativa che rende molto più debole la tutela per il dipendente licenziato in modo illegittimo”.

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