Genova sta ancora in bilico nel suo destino, incerto tra il precipizio della pietrificazione di tutte le sue rivoluzioni e il rilancio annunciato da tempo e programmato dal terzetto del sindaco Marco Bucci, dal governatore Giovanni Toti e dall’ex presidente del Porto, Paolo Emilio Signorini con grandi opere, grandi scommesse e 7 miliardi da investire entro il 2026.
Ma del terzetto, della terna o, come qualcuno diceva, della “cupola”, non è rimasto, un po’ solo e ramingo, che il sindaco Marco Bucci che ora non “cria” più e aspetta con non poche ansie che i magistrati della Procura di Genova lo interroghino come testimone nella inchiesta -boom, che tiene ancora la Liguria e non solo appesa al filo.
Mentre tutti i leader nazionali stanno arrivando a Genova uno ad uno per la campagna elettorale europea, giunta alle ultime battute, e cercano di barcamenarsi, soprattutto quelli del centro destra, tra gli effetti di arresti, valanghe di intercettazioni pubblicate dai giornali come con il contagocce, giorno dopo giorno, attese di dimissioni del presidente Toti e, quindi, attese di elezioni anticipate, è proprio il destino del presidente regionale, chiuso nella sua casa di Ameglia agli arresti domiciliari da venti giorni, a meritare una speciale osservazione.
Toti prima che la tegola più inattesa per lui gli cadesse in testa con quelle accuse di corruzione era davanti ad un destino incerto. Bocciato da tutti meno che dalla Lega il terzo mandato in Regione il presidente uscente stava consumando gli ultimi mesi del suo mandato, oramai quasi decennale, interrogandosi su un futuro politico tutto da definire.
Da una parte aveva la speranza che con qualche forzatura, vedi la legge sull’autonomia differenziata, il terzo mandato risorgesse dalle bocciature. Allora avrebbe continuato il suo stracavalcante impegno ligure, per il quale non aveva esitato di dichiararsi disponibile. Qualche sostenitore di razza su questa strada lo aveva trovato, specialmente nella figura largamente rimontante di Claudio Scajola, uscito indenne da una dozzina di inchieste, oggi sindaco per la quinta volta di Imperia, ma divenuto consigliori di Antonio Tajani nel rilancio di Forza Italia, rinvigorita un po’ a sorpresa dopo la morte di Berlusconi.
Scajola riapparso magicamente a fianco del ministro degli Esteri e addirittura indicato come un possibile candidato presidente in Liguria alle regionali ante scandalo, aveva sostenuto la tesi di Toti ancora presidente per i prossimi cinque anni, ricambiando in qualche modo l’appoggio in realtà tardivo che il presidente ligure gli aveva dimostrato non solo nelle sue vittoriose campagne elettorali per Imperia.
Ma se questa ipotesi non si fosse potuta verificare e nell’autunno del 2025, oppure nella primavera del 2026, il suo mandato presidenziale si fosse definitivamente e tombalmente consumato, che strada si sarebbe aperta per il giornalista, presidente ligure per dieci anni e mezzo, ex delfino di Berlusconi, direttore di reti Mediaset, considerato un po’ traditore di Forza Italia nelle sue evoluzioni moderato-centriste?
I tentativi di percorrere una pista autonoma per trovare una collocazione parlamentare da protagonista, Toti li aveva esperiti tutti durante il suo periodo di presidenza ligure,
“Coraggio Italia”, “Noi moderati” sono stati movimenti da lui fondati, dalle alterne fortune, che ha lanciato con grande slancio arrivando a un palmo del successo, quando nella sua epoca di vicinanza strettissima con Matteo Salvini, l’ipotesi di un governo successivo a quello giallo rosso di Conte lo avrebbe visto sicuramente ministro del senatur, avviato al suo successo più importante.
Ma ci si era messo di mezzo il Papeete, quindi il ridimensionamento o il crollo del leader leghista e in quella estate rovente le speranze di Toti si erano spente.
Anche in Liguria quello poi era stato il periodo più difficile nella maggioranza di centro destra, che governava la Regione per le distanze tra Toti e la Lega, impersonata dal genovese Edoardo Rixi molto critico sul presidente, che teneva per se troppe deleghe e soprattutto quella della Sanità, dopo il lock down nel quale il presidente stesso aveva oscurato chiunque in Liguria, come capitava d’altra parte a tutti i leader di Regione durante la tempesta Covid.
La pista romana si era ridotta progressivamente, anche dopo exploit clamorosi come la famosa riunione al teatro Brancaccio di Roma, dove centinaia di possibili seguaci totiani, tra i quali una ventina di parlamentari, studiavano un rilancio al centro ben prima di Renzi e Calenda.
Tutto fumo, davanti a qualche tensione interna con l’altro leader di quel movimento, il sindaco di Venezia, Brugnaro e le evoluzioni della politica nazionale, dove stava per arrivare Draghi, una specie di lavatrice per leader e partiti, almeno fino alle elezioni per il presidente della Repubblica.
E così Toti, come nei film di Brancaleone alle Crociate, era rimasto con una mano davanti e una dietro, parlando di ruoli nazionali. Gli era rimasto, appunto, l’appiglio ligure al terzo mandato.
Se non fine…un bel tramonto. Forse un ritorno alle reti Mediaset, dando per scontata una riappacificazione con la famiglia Berlusconi, era l’unica via di uscita per un cinquantenne ex rampante.
Ora che tutto si è capovolto facendo passare Toti dal ruolo di presidente in Regione con il massimo della visibilità e dominio totale della scena, ma con il tic tac del conto alla rovescia di fine mandato, alla condizione di super imputato, costretto ai domiciliari, sbeffeggiato nelle intercettazioni, non ancora nella posizione di poter chiedere la libertà per sottili calcoli processuali, il futuro di questo leader, ex socialista ,ex forzista, centrista moderato in cerca di casa, potrebbe paradossalmente “piroettare” ancora.
Se questa maxi inchiesta dovesse allungarsi nel tempo , portando magari anche alle dimissioni da presidente Toti, e poi si incancrenisse in processi lunghi, nei quali non emergono altri fatti oltre a quelli finora contenuti nel modello della Procura di Genova, Toti potrebbe uscirne in ben altro modo rispetto a quello che ora appare.
Potrebbe diventare la vittima dell’ennesima cavalcata accusatoria delle Procure, incominciata con i fuochi artificiali degli arresti, delle accuse, perfino di quella di concorso mafioso e averne, quindi, una specie di riabilitazione.
E allora la sua figura si capovolgerebbe ancora, in attesa magari di un finale assolutorio, come avvenne per esempio a tutti gli imputati del precendente scandalo portuale genovese, quello del 2008 contro l’allora presidente dello scalo genovese, il brokerr Giovanni Novi, anch’egli impallinato dalla Procura sul tema delle concessioni dei terminal portuali. Poi assolto “perchè tutti i fatti non sussistono”.
E tornerebbe in piedi con la sua vigoria dialettica, con una esperienza di pubblico amministratore terminata traumaticamente e in maniera ingiusta. Se i prezzi delle corruzioni restano quelli tracciati fin’ora e non ne spuntano altri e il castello accusatorio si ferma al sistema finora descritto e nelle 1150 pagine dell’istruttoria genovese non ci sono sorprese, che fine farebbe l’accusato numero uno?
La sua figura potrebbe essere “recuperata” e in un panorama così povero, dove continuiamo a parlare del generale Vannacci come di una rivelazione, imporsi all’attenzione di quell’area moderata che Toti ha sempre cercato di spingere, “bordeggiando” tra i suoi esordi in Forza Italia, tra il suo feeling con Salvini, spesso commensale nelle mangiate di troffie al pesto in Riviera e tra Fratelli d’Italia, che ora lo difende, celando i suoi appetiti per una Liguria che potrebbe diventare a presidenza meloniana,
Sono teorie, ipotesi forse premature. Ma attenzione, forse, sbagliando ci si azzecca…..
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