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Genova inizia oggi la super diga, 500 metri in mare: tante difficoltà e il sogno di tornare Superba

La super diga di Genova: qualcuno sostiene che questa data, anno del Signore 2023, 4 maggio, soppianterà addirittura il 12 ottobre della Scoperta dell’America o, forse un po’ più modestamente, coinciderà quasi con il 5 maggio del 1860 della partenza da Quarto dei garibaldini alla conquista delle Due Sicilie.

Certo questo 4 maggio, sbandierato come data epocale della resurrezione del porto di Genova per la posa della prima pietra della nuova mirabolante diga di un porto nato nel V secolo avanti Cristo e destinato ora a diventare nel cuore del terzo millennio una vera mirabilia nella marineria mondiale, sta facendo tremare la città.

Da una parte l’esaltazione per questa opera kolossal, per la quale sta per partire una festa mai vista con tutta Genova coinvolta. La posa della prima pietra, una grande cerimonia alla presenza dell’immancabile ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, culminerà con il bottone da schiacciare nel mitico Palazzo san Giorgio per far partire la prima gittata di ghiaia che sprofonderà in mare, a 50 metri di profondità e a 500 metri al largo dalla vecchia diga. Poi concerti, fanfare, installazioni, palloni lanciati in cielo e concerto finale dell’Orchestra del Carlo Felice.

Dall’altra parte le obiezioni pesantissime del più illustre degli esperti contrari all’opera così come è stata concepita, l’ingegnere Piero Silva, grande esperto geotecnico, studioso di grandi impianti marittimi. Silva ha scritto una lettera di dieci pagine nella quale dice senza mezzi termini che con i lavori incomincia un incubo per Genova e per i genovesi che durerà decenni, altro che il 2026, data annunciata per la fine dell’operazione Kolossal.

Secondo l’esperto contrario il fondale non può reggere l’impatto di cassoni alti 33 metri ( un palazzo di dieci piani) larghi 67 metri, piazzati uno sull’altro. Il fondo è troppo limaccioso e instabile. Nessuno al mondo ha realizzato una diga a quella profondità.

Invece i costruttori di We Build, Fincantieri e Fincosit hanno già annunciato come proteggeranno, addirittura con bolle d’aria, la fauna marina dall’impatto dei cassoni e delle rocce calate a fondo. Ottimismo contro disfattismo, anche un po’ prevedibile nel Dna genovese del “mugugno”, davanti all’evento più importante degli ultimi decenni dell’altalena genovese, il 1992 di Renzo Piano e del Porto Antico riscoperto, le grandi mostre al Ducale, il teatro Carlo Felice rinato dalle bombe della guerra, con stile postnovecentesco, poi le alluvioni distruttive, il crollo del ponte Morandi, tragedia immane , la sua ricostruzione lampo, il sindaco manager Marco Bucci, che scuote la città con le sue urla da “scindecu cu ‘cria” per usare il dialetto zeneise.

Dove va questa Genova diversa da sempre, invasa di turisti fin troppo, di progetti fin troppo, di cantieri mai abbastanza, questa Genova isolata dall’incubo delle autostrade impercorribili, in calo demografico?

Dove va in questo giorno di fanfare, di lanci, di esaltazione plurilogistica: la diga, il tunnel subportuale, il Terzo Valico ferroviario in arrivo sui binari, la Gronda, immensa tangenziale da 54 chilometri, che la libererà dal cappio del traffico? La risposta è chiara. Genova torna alla sua origine, che è il porto, appunto quello del V Secolo avanti Cristo, che non aveva bisogno di moli perché bastava la natura a proteggere le navi in quell’ansa profonda nel cuore di quella che sarebbe diventata Genova alias “Ianua”, porta.

Poi quello dal quale partivano le crociate e lo avevano chiamato Opera pia nel 1248 perché potesse essere rinforzato con i lasciti dei privati. Ed era già arrivata la Lanterna a illuminarlo dal secolo XIV e poi per sempre, mentre i moli e le banchine crescono e si rinforzano e diventano anche epopea, prima dell’Unità d’Italia quando l’armatore Rubattino fornisce a Garibaldi le navi che partono da lì, da quelle banchine per trasportare i Mille in Sicilia.

La storia del porto poi diventa silenziosa fino al Duca di Galliera, marchese Raffaele De Ferrari, che mette a fine Ottocento “le palanche”, tante, per costruire la base della diga che esiste ancora. Ma che non basta per i traffici, che si trasformano dalla vela al vapore e che hanno come protagonisti i giganti dell’epoca che sono gli imprenditori come Erasmo Piaggio, armatore, industriale, uno degli inventori del sistema imprenditoriale del secolo Novecento con le sue aziende, le sue navi, i suoi cantieri.

E’ lui che sostiene, insieme al ghota genovese di allora, il rinforzo e la costruzione di moli e banchine, intorno agli anni Venti prima della Grande Depressione. Un Piaggio, anzi il fondatore di quel ramo famigliare, che ebbe un secolo di potenza inaudita, qualcosa di irripetibile non solo a Genova, ma nell’Italia che si stava formando.

Fino agli anni Settanta del Novecento, quando suo nipote, l’erede del figlio Rocco, Andrea Mario, si arrese a una dinastia che non aveva più eredi e che si auto eliminò, vendendo tutte le attività residue di un vero impero, compresa la mitica Miralanza, resa celebre dal Carosello di Calimero, il pulcino nero.

Era stato proprio Rocco, padre di Andrea Mario e di altri tre eredi maschi, mai quasi coinvolti nel gruppo, a confidare a una sua giovane segretaria, che la battaglia per rinforzare il porto era fondamentale e che bisognava costruire, costruire, costruire ancora… confermando lo spirito che animava una classe dirigente allora proiettata al futuro e centrata su quel porto che molti avevano messo al centro delle loro imprese.

Su queste fondamenta poggia la Super diga, quella che oggi viene definita dal suo primo regista, il presidente dell’Autorità portuale di Sistema e commissario per le opere portuali, Paolo Emilio Signorini, già dirigente al Ministero dei Trasporti, poi funzionario della Regione Liguria: “Un’opera strategica per l’Europa”.

Il progetto che oggi incomincia a essere realizzato con il lancio in mare della prima pietra è, infatti, datato 2017, proprio quando Signorini venne scelto come presidente di quel porto che ha superato nel finire del Novecento grandi contrasti ed era stato finalmente privatizzato, ridimensionando il ruolo mitico dei “camalli”, i combattivi lavoratori della CULMV, custodi di un monopolio apparentemente indistruttibile.

Oggi ci scommette l’Europa con il fondi del PNRR, che puntano lì 1,3 miliardi, la più alta cifra del continente per un’opera marittima.

Al di là dell’anatema del super esperto Piero Silva, che parla di decenni per il tempo di costruzione, la previsione è di tre anni per la prima parte come spergiurano Signorini e il sindaco di Genova.

Grazie a questa opera entreranno a Genova navi lunghe 450 metri, che avranno, nella nuova imboccatura, uno spazio di manovra di 800 metri , sufficienti a muoversi senza rischi.

Con questa impresa il famoso e oramai negletto “triangolo industriale” Genova- Milano-Torino, diventato ironicamente GE.MI.TO, avrà un rilancio, trasformando il Nord Ovest italiano in una area di traffico molto interessante. E mettendo anche con i trafori del Brennero e del Gottardo la Pianura Padana al centro dei grandi mercati europei, in concorrenza con i porti anseatici, come Rotterdam e Amsterdam.

“Un trasformazione del porto come quella che incomincia oggi_ chiosa Signorini_ non si vedeva dagli anni Trenta del secolo scorso ed era necessaria, fondamentale per i grandi mutamenti del trasporto marittimo mondiale, anche sul piano della sostenibilità.”

I costruttori, Webuild, Fincantieri, Fincosit e Sidra, con questa opera presentano un biglietto da visita non da poco. Non esistono dighe così profonde nel mondo : Algesiras in Spagna è di 40 metri, Marsiglia arriva a 30 , Barcellona a 25, come quella del porto satellite di Genova Prà.

Diga di Genova: riusciranno i nostri eroi a realizzare tutto nei tempi e nei modi programmati?

Genova assiste un pò combattuta alla grande scommessa, con i partiti di opposizione ai governi di centro destra del Comune e della Regione, che escono da un letargo di anni per contestare tutta l’operazione, non tanto nel suo contenuto. ma per i tempi e per le procedure che, ad avviso del Pd sono incomplete. L’accusa è di fare una inaugurazione passerella, tanto per sventolare un altro successo dopo la ricostruzione del ponte crollato, imponendo un “modello Genova”.

Ma tutti hanno la sensazione che con questa impresa, che “varerà “ a cinquecento metri dalla vecchia diga un colosso lungo 6,2 chilometri, la città rilancerà il suo destino di capitale portuale europea, anche se sul risultato di aumento dei traffici marittimi ci sono altre polemiche e discussioni.

Genova oggi movimenta circa 3 milioni di container. Con la diga nuova e super si arriverebbe oltre i 7 milioni.

Un traffico possibile solo se a terra saranno completate tutte le altre operazioni logistiche necessarie, sopratutto quelle ferroviarie per portare i binari sulle banchine e per sveltire i viaggi verso la Pianura Padana e il Sud Europa. Il Terzo Valico ferroviario, oramai in ritardo cronico, preoccupa non poco, perché la sua inaugurazione è slittata al 2028, una data successiva al completamento della prima parte della Diga.

Ma nel trionfalismo di queste giornate sono dettagli, perché quello che conta è il “forziere” di Genova, il suo porto che compie mille anni, trasformandosi ancora.

Franco Manzitti

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