A Genova, a tre anni e mezzo dalla fine del suo mandato Marco Bucci, il sindaco più popolare d’Italia, dopo il miracolo della ricostruzione del Ponte Morandi, potrebbe lasciare il mirabolante Palazzo Tursi.
È la sede prestigiosa del Comune, nella via Aurea della Superba genovese. La sua decisione aprirebbe improvvisamente uno scenario imprevedibile nell’ex roccaforte rossa, conquistata nel 2016 da questo manager “americano”, scelto dal centro destra già due volte.
La voce si ricorre in una città terremotata dai cantieri di grandi opere ( e anche piccole) a solo un anno e pochi mesi da una rielezione trionfale, quando un po’ tutto il quadro politico del centro destra scricchiola a Genova e in Liguria.
Il presidente del Porto, Paolo Emilio Signorini, ha appena lasciato le banchine in anticipo ed è diventato presidente e ad di Iren, la potente società di gas e acqua, che domina, tra Genova e Torino servizi essenziali.
Al suo posto un commissario ad ultra interim. La terza figura del triangolo del potere genovese insieme a Bucci e Signorini, anzi il regista di questa costruzione politica di ferro, Giovanni Toti, il governatore della Liguria, sta già correndo per un terzo mandato in Liguria, previsto dal 2025, tra molte incertezze, non sue, ma degli alleati di Forza Italia, (i più favorevoli, grazie al legame tra il suddetto e PierSilvio Berlusconi), Lega ( i più contrari) e Fratelli d’Italia, dopo avere visto vanificarsi negli anni tutte le sue chances per un ruolo nazionale al centro nella formazione di “Cambiamo” e “Noi moderati”.
Bucci aspirerebbe a un ruolo più operativo da supercommissario, ultramanager di livello nazionale. Dopo avere dimostrato la sua capacità con la costruzione del Ponte San Giorgio. E dopo avere inciso profondamente in città con tante opere, in parte realizzate, in parte in cantiere, in parte progettate, in parte anche un po’ abortite.
Forte del fatto di avere cambiato il “mood della città” dopo gli ultimi anni bui del centro sinistra e di avere impresso a Genova una spinta nuova di spirito, forza, “visione” come gli piace dire, il sindaco sembra essere ora un po’ prigioniero delle tante operazioni aperte che chiedono tempi, spazi e tanti investimenti. Ha da spendere 6 miliardi tra PNRR e altri finanziamenti, ma i disegni di cambiamento ne chiedono altri.
Si è buttato a pesce nell’operazione della nuova Diga portuale, che in realtà è di competenza del porto e che sarà complicata, difficile da realizzare e molto “lunga” nei tempi.
Tanto è vero che Signorini, l’ex presidente, l’ha un po’ clamorosamente abbandonata, ritirandosi in anticipo proprio quando l’operazione kolossal stava partendo.
Meglio per Bucci lasciare una firma forte come quella del nuovo ponte, il Water front di Levante, dove in questi giorni si celebra il Salone Nautico numero 63. Meglio avere sfondato il muro della Coop “comuniste”, padrone per decenni della grande distribuzione in Liguria, riuscendo a far entrare a Genova ben tre “Esselunga”, due già funzionanti, una in costruzione.
Meglio avere lanciato il Piano Caruggi, per recuperare il centro storico semi abbandonato, e avere troneggiato in tanti eventi scenografici (ma non tanto redditizi) come Ocean Race, Genova Jeans e il potente rilancio dei Rolli”, i 94 palazzi storici genovesi, patrimonio dell’ Unesco!
Meglio anche avere aperto e abbandonare ora molti fronti che poi si sono un po’ inceppati e che con il passare del tempo potrebbero tramutarsi in veri flop, come il famoso Museo della Repubblica, alla Loggia di Banchi dove Gilberto Govi, il mitico comico genovese, prendeva il sole o come l’Hennebique, il gigantesco silos granario, nel cuore del porto, pronto a trasformarsi in alberghi, musei uffici, posteggi e non se ne sa più niente….
Secondo questo Bucci, l’ americano, la svolta c’è stata, i progetti sono partiti, soprattutto quelli infrastrutturali tra sky tram, funivie, metropolitana in estensione…. L’ha impressa lui “o sindecu ch’o cria”, come era stato ribattezzato per le sue urla che scuotevano le mura degli uffici comunali.
E c’è anche un erede in pectore, il suo vicesindaco, l’avvocato Pietro Picciocchi, allievo di Victor Uckmar, professionista collaudato e amministratore superefficiente, già pronto alla successione.
Ma con qualche perplessità per il “calore” popolare che può suscitare una sua candidatura dopo quella doppiamente vincente del suo “capo” Bucci.
Insomma non si sa quando il passo potrebbe compiersi, ma non c’è nessuno, nell’ establishment genovese, un tempo fatto di understatement e mani man (espressione genovese che indica attendismo scettico), che punterebbe oggi su un sindaco che completa il suo mandato.
E’ come se questo manager, diventato amministratore pubblico, sessantaseienne, desse l’impressione di avere fatto il suo e fosse già il momento di dargli un altro ruolo trainante, come è stato quello di “sindaco del Ponte”. E’ come se lui quel ruolo lo cercasse o se lo aspettasse. Prima o poi.
Forse meglio prima anche per ragioni anagrafiche. Anche se Bucci continua a ripetere che finito il suo mandato il sogno è ripercorrere in barca il viaggio di Ulisse.
Supercommissario al Porto, lasciato vacante dal suo “socio” Signorini e bisognoso di interventi drastici all’ombra della Grande Diga in costruzione? O addirittura responsabile della Protezione Civile Nazionale, un efficientista come lui, capace di regolare bene situazioni complesse, come l’operazione- Ponte ha ben dimostrato?
In questa Genova di inizio autunno, dove arrivano ben cinque ministri, compresa la leader, Giorgia Meloni, per celebrare il primato della nautica consacrato al Salone Nautico delle meraviglie, questi sono solo spifferi, insistenti, ma spifferi, voci di corridoio. O qualcosa di più…
In fondo anche un predecessore di Bucci, come il sindaco Beppe Pericu, primo cittadino dal 1997 al 2007, con grande successo, sarebbe uscito volentieri in anticipo durante il suo secondo mandato. Se lo avesse fatto aveva molte probabilità di diventare giudice costituzionale.
Non glielo permisero i partiti del centro sinistra, allora ancora in grado di decidere, anche con una certa forza rispetto ai ruoli dei protagonisti. Altro che liste civiche, alleanze di cartapesta, trasformismi e salti della quaglia tra una lista e l’altra , tra una sigla e l’altra.
Oggi l’opposizione, erede di quel centro sinistra praticamente egemone, è ridotta a avvoltolarsi su se stessa e a contemplare queste supermanovre ai vertici istituzionali, vere o false che siano, come il popolo seguiva le decisioni del principe: neppure il fiato per smascherare i valzer, le ipotesi.
Il Pd non riesce a reagire neppure alla clamorosa fuga di 32 iscritti passati dalle sue fila a Azione di Calenda. Tra questi una vecchia gloria come Pippo Rossetti, ex assessore regionale, ancora in Consiglio, uomo di punta della sua storia, e Cristina Lodi, rampante consigliera comunale di grandi ambizioni e forte visibilità.
Come se niente fosse sono usciti contro Elly Schelein, accusando la leadership di emarginare “Base riformista”, la loro corrente. Neppure questo strappo, uno scossone anche a livello nazionale, ha spinto i vertici locali a armare una reazione.
Ma il Pd oramai è come un hotel di non so quale categoria con le porte girevoli.
Escono i 32 e chi rientra a sorpresa? Sergio Cofferati, uno dei monumenti della sinistra, che, otto anni dopo il suo strappo antirenzista, si è iscritto alla sezione di Portoria, quartiere dove Balilla lanciò la sua rivolta contro gli austriaci invasori.
Cofferati, che vive a Genova da anni, non ha chiesto incarichi, ruoli….nulla. Vuole solo dare un suo contributo di esperienza che non è poco…
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