Genova, nemmeno le bombe la fermano nella sua corsa verso il futuro, così fu mille anni fa, così all’inizio del precedente millennio. È la corsa verso i mercati del grande Nord, ieri con i muli, oggi con i supertreni.
Una bomba della seconda guerra mondiale la scoprono sepolta in un supercantiere ferroviario, dove le ruspe scavano per i nuovi binari nella zona di Brignole, una delle due stazioni ferroviarie principali della Superba.
L’altra, al fosforo, pericolosissima viene urtata da una ruspa che sta scavando i canali del Water front genovese di Levante, opera gigantesca, disegnata da Renzo Piano e quasi pronta.
Si alza una colonna di fumo. Allarme altissimo. Mezza città si blocca, aspettando gli artificieri dell’Esercito, che devono disinnescare quella bomba che giaceva probabilmente dai primi anni della seconda guerra mondiale ed era stata lanciata da qualche aereo della Raf inglese. Poi sepolta nei lavori che negli anni Cinquanta avevano realizzato la “mitica” Fiera del Mare.
Genova la stanno rivoltando come un calzino le grandi opere di questo inizio millennio e i cantieri portano alla luce il suo passato e perfino i residuati bellici. Come nello storico 1992 di Cristoforo Colombo quando erano riemersi i vecchi moli di un porto millenario che oggi ha incredibili nuovi orizzonti.
“La grande pace” è sbocciata tra i protagonisti delle banchine, armatori, terminalisti, agenti di trasporto e la regia istituzionale dell’Autorità Portuale di Sistema insieme alla Regione e al Comune.
La “grande pace” è stata firmata soprattutto tra il vero “governatore” di Genova, il comandante Luigi Aponte, “re di MSC”, uno dei più grandi armatori mondiali, superterminalista anche a Genova, un vero gigante. E Aldo Spinelli, il self made man genovese, diventato autostrasportatore e terminalista anche delle nuove banchine.
E questo accordo-chiave, che ha sbloccato i moli e i loro traffici e il loro sviluppo, ha fatto scoccare una scintilla.
Fonti autorevoli e anche lontane dall’epicentro portuale dei grandi players del traffico marittimo mondiale rivelano che Genova è tornata al centro delle strategie in modo imponente.
Non sono sole quelle grandi opere in corso, soprattutto nel settore ferroviario e autostradale a rilanciare la ex Superba come concorrente numero uno dei potenti scali nord europei.
Non sono solo il Terzo Valico Ferroviario, tra Genova e Milano, con il recente finanziamento del tratto Milano-Pavia per quadruplicare la linea e la Gronda tangenziale di 57 chilometri in quasi esecuzione a spingere nuovi progetti.
Ci sono disegni “forti” che squadernano un ruolo più forte per Genova, il cui decollo si data senza incertezze nelle operazioni di privatizzazione degli anni Ottanta-Novanta, che hanno sbloccato un grande porto pubblico. Era paralizzato dal monopolio dei “camalli” della Culmv e da una visione pubblica-statalista della gestione delle banchine, allora governate dal Cap, Consorzio autonomo del porto, “occupato” spesso politicamente da una lottizzazione partitica, che gestiva le banchine in una ottica “chiusa”.
In quegli anni Genova ha perso tutte le battaglie con Marsiglia, la concorrente mediterranea, che poi sarebbe stata sopravanzata da altri scali europei e si è fatta distanziare in modo esponenziale dai porti del grande Nord.
La privatizzazione, innescata da una visione moderna di Bettino Craxi, che nominò alla presidenza del porto un manager come il genovese Roberto D’Alessandro, cresciuto in grandi aziende tra le quali Pirelli, Fabbri e nella galassia Fiat, sbloccò tutto.
Non senza grandissime tensioni anche politiche e sociali. Ma quella spinta, assecondata, quando D’Alessandro uscì di scena, da armatori coraggiosi, come Bruno Musso, che sfidarono il monopolio dei camalli nell’epoca in cui uno degli slogan in porto era “Nè con lo Stato, né con le Br”, facendo lavorare le sue navi da marittimi estranei alla Culmv nello scalo.
Anche se non sono mancate le difficoltà tra un governo centrale ondeggiante nella politica portuale, resistenze locali ai cambiamenti e istituzioni genovesi e liguri non sempre lungimiranti nel governo delle banchine, “separato” tra il potere di palazzo san Giorgio, sede del Cap e palazzo Tursi, la sede del Comuine.
Oggi quello che cambia, dopo la “guerra dei trent’anni” tra i terminalisti, nuovi padroni delle banchine, spesso in contesa tra loro, come a inizio anni 2000, quando dalle loro lotte nacque il clamoroso processo contro il presidente del porto di allora, il broker Giovanni Novi, arrestato, accusato di manovre proibite nelle concessioni ai terminalisti stesse, poi totalmente assolto “perché tutti i fatti non sussistono”, è proprio la fine di quella lunga contesa.
Si può dire, seguendo le voci autorevoli che restano coperte per ragioni di riservatezza “globale”, che una serie di investimenti e di nuove operazioni riguarderanno in sequenza il porto genovese, che è entrato anche nell’ottica espansionistica della Cina.
Mentre tutti ragionano su cosa succederà della “via della seta”, che a Genova aveva poco prima della pandemia sollecitato grandi interessi e succosi pre accordi, il mirino di Pechino si è ancora puntato sul golfo ligure.
Come ha raccontato “Il Secolo XIX”, Fu Xiangyang , il capo di “Cosco Europa”, uno dei più potenti manager cinesi, sta arrivando a Genova. E’ lui che gestisce i rapporti con i porti del Vecchio Continente.
Sarà accompagnato da Augusto Cosulich, l’imprenditore genovese che rappresenta la compagnia cinese in Italia e molto ben piazzato nel “Dragone”. I cinesi, appoggiati da questo leader genovese-triestino, uno dei più coraggiosi player della Superba, confermeranno il loro impegno sul porto di Vado Ligure, che fa parte del sistema territoriale, con Genova capitale.
Non solo: il plenipotenziario di Pechino vuole affiancare Cosulich in alcune operazioni logistiche importanti, che riguardano il traffico merci nel settore delle auto.
Le vetture sono uno dei prodotti più esportati dalla Cina e nel 2023 l’export verso l’Occidente è aumentato dell’89 per cento. Ci vogliono nuove navi per trasportare milioni di auto e nuove basi per appoggiarle. Genova e Vado, sopratutto, sono in questo grande gioco.
L’interesse cinese, e non certo solo quello, “muove” operazioni che erano rimaste un po’ sepolte nei decenni di contese interne al porto e di blocchi burocratici. Come, ad esempio, lo sblocco del famoso Hennebique, un grande silos granario, da decenni paralizzato nella sua decadenza nel cuore del porto, tra la Darsena e la Stazione Marittima.
Si tratta di 45 mila metri quadrati piazzati in una delle posizioni più importanti dell’intero Mediterraneo, su più piani, vigilati per la loro storia perfino dalla Sopraintendenza ai Monumenti.
La grande operazione, che potrebbe partire, scavalca i progetti precedenti, bloccati da una questione ambientale: la scoperta di un rivo sotterraneo, il Lagaccio, che minerebbe le fondamenta del gigantesco manufatto.
Ma nella spinta del nuovo spirito, che aleggia sul porto dopo la pace tra Spinelli e Aponte, anche questo ostacolo sarebbe stato superato e quel colosso che giganteggia nel cuore delle banchine avrebbe un destino che coinvolge grandi aziende italiane e internazionali.
Insieme al collegamento tra il porto antico, quello disegnato da Piano e in fase di costruzione avanzata e alla nuova diga, il “salto del’Hennebique” costituisce la grande svolta del porto che ora aspetta solo i nuovi link ferroviari con le banchine per lanciare quella linea veloce essenziale nei programmi europeei.
Non è un percorso facile e le discussioni continuano, come si è visto anche recentemente nei grandi dibattiti che riguardano i traffici marittimi in Italia e in Europa.
Il presidente del porto di Trieste, Giovanni D’Agostino, per esempio, in un convegno ha criticato la nuova maxi diga di Genova, sostenendo che è un’opera “fredda”, perché studiata quando già si intravvedono nuove futuribili soluzioni per il trasporto marittimo. E’ un’opinione.
A Genova oramai il cantiere è partito. E c’è un solo obiettivo: arrivare al 2026, quando la prima parte della mega costruzione sarà realizzata e le navi lunghe 450 metri e larghe 60 arriveranno comodamente in un porto allungato.
Meglio: in una città trasformata e più lunga di 500 metri sul suo mare.
In fondo è quello che un grande storico mondiale e studioso di Genova sosteneva : che Genova ha enormi spazi oltre al suo territorio, le immense praterie blu del suo mare, dove può estendersi e creare traffici e lavoro.
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