Genova soffre l’ultimo scandalo sul Ponte Morandi. Il ben servito a Giovanni Castellucci, l’ex amministratore delegato di Autostrade, fino a due anni fa concessionaria anche della A10 del Ponte Morandi, è stato complessivamente di 13 milioni e 600 mila euro.
La liquidazione era per i “bei risultati conseguiti” nel fatidico anno 2018 del tragico crollo, delle 43 vittime innocenti, del disastro del sistema autostradale italiano, della immane sofferenza di Genova.
A Castellucci arrivarono in quel tragico anno 5 milioni e 300 mila euro di “premio” in più per avere ottenuto i risultati dell’obiettivo prefigurato.
Questo è l’ultimo schiaffo di Autostrade e dei Benetton a Genova, al Ponte Morandi crollato, e soprattutto ai parenti delle 43 vittime. Mentre ogni mese con Egle Possetti in testa, leader di quel gruppo di parenti condannata alla sofferenza a rimpianto perpetuii, i congiunti delle vittima andavano a gettare i fiori sotto il ponte, prima spezzato, poi piano piano ricostruito, il calcolatore degli incassi per uno dei presunti responsabili della tragedia saliva, saliva.
Fino a quella liquidazione record che sbuca ora dai conti tenuti segreti, dai bilanci di Atlantia, la holding che teneva in pancia anche le concessionarie autostradali e che la trasmissione “Report” su Rai 1 di Ranucci ha svelato, numero per numero.
I numeri freddi di quei conti, che emergono solo oggi, sono come un rosario di spine sempre più dolorose nella memoria di una delle più grandi tragedie civili del Dopoguerra italiano.
Se si vanno a leggere anche i ricavi anno per anno, i dividendi distribuiti dal gruppo Benetton grazie ai bilanci fantasmagorici della gestione autostrade, non c’è più indignazione, rabbia, furore che tengano.
Mentre il processo Morandi, che incessantemente sforna testimonianze sempre più pesanti sulle responsabilità degli amministratori, dei controllori che non controllavano, dei ministri, come Del Rio, che non sapevano e parlavano a vanvera di sicurezza, in una sfilata di imputati, indagati e testi senza fine, ma sempre con lo stesso esito, va avanti come sempre in un crescente disinteresse dell’opinione pubblica in generale, la proporzione dello scandalo cresce.
Fino a diventare tanto grande da non prevedere più un rapporto credibile tra responsabilità e pena che potrebbe essere comminata.
Si autocertificavano da soli la sicurezza di quel ponte, come dice davanti ai giudici e ancor di più davanti ai telecronisti Gianni Mion, ex amministratore delegato di Edizione Holding, l’uomo di fiducia dei Benetton, stravolto dalla responsabilità al punto dii confessare che il giorno della tragedia voleva spararsi alla testa, questa figura capovolta che era il grande consigliori, il fedelissimo del Gilberto (Benetton) e di tutta la famiglia e ora vaga per il palazzo di Giustizia genovese, chino sotto un fardello incalcolabile. “Non ho fatto quello che dovevo, non so perché forse tenevo al mio posto di lavoro……, dovevo fare casino…..” _aveva balbettato due mesi fa in margine alla sua testimonianza nell’aula del processo.
Incassavano milioni e milioni di utili dalle autostrade perché non spendevano a sufficienza nelle manutenzioni e così mentre loro si arricchivano di miliardi le autostrade crollavano come abbiamo visto e continuiamo a vedere nei lavori permanenti che continuano oramai da quasi cinque anni. Dicasi cinque anni senza che se ne veda la fine.
E il gruppo Benetton ha incassato oltre 9 miliardi, quando gli è stata revocata la concessione passata a Cassa Depositi e prestiti e a due fondi sovrani, dopo una lunga trattativa seguita alla tragedia.
A quattro anni esatti dalla mattinata nella quale i resti del vecchio Morandi sono stati fati esplodere in una indimenticabile immensa nuvola di polvere, il processo e i suoi contorni stanno offrendo una dimensione dei fatti che non era neppure lontanamente immaginabile subito dopo la tragedia.
Quando qualcuno ipotizzava che a provocare il crollo fosse stato un fulmine nel nubifragio in corso quella mattina del 14 agosto 2018. Qualcun altro aveva ipotizzato che un carico pesante, una turbina, caduto da un Tir in viaggio sul ponte poteva essere stata la causa del crollo.
Invece la causa della manutenzione “tradita” era la punta di un iceberg che sta emergendo in proporzioni colossali di responsabilità, di superficialità, di incredibile insipienza, di una logica del profitto, del guadagno portata alle estreme conseguenze.
Alla fine si arriverà a una sentenza penale di condanna, salvo clamorose sorprese, cui seguirà il processo di appello e poi la Cassazione in un tempo infinito.
Ma molti dei possibili responsabili condannati se ne saranno già usciti con i portafogli e le casseforti gonfie di soldi “guadagnati” sulla pelle delle vittime, dei danneggiati, degli utenti autostradali, degli altri morti, magari causati dai lavori di recupero manutentivo in una catena che non finisce mai. Davanti alla quale la parola “giustizia” impallidisce o forse svanisce.