Non scherzate con la Germania, in arrivo in Italia stangate da 50 miliardi all’anno

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 13 Febbraio 2011 - 15:43 OLTRE 6 MESI FA

Il “menù” che la Germania, con l’appoggio francese, ha cominciato a delineare nelle ultime settimane per la politica economica dei paesi dell’eurozona (e che dovrebbe venire compiutamente servito alla tavola dei 17 entro marzo) segna una svolta storica nel ruolo europeo dello Stato guidato da Angela Merkel. Un profondo cambiamento di rotta che non pare essere stato colto da chi continua a dare un’immagine caricaturale della politica di Berlino, scorgendo dappertutto solo ultimatum, “diktat”, insomma prepotenze perpetrate da “Frau Nein”, la Merkel, ai danni dei partner economicamente più fragili.

Queste etichette in qualche misura potevano ancora risultare appropriate una manciata di settimane o di mesi orsono, quando la Germania, di fronte alla crisi dei debiti sovrani di Grecia e Irlanda, sembrava preoccuparsi esclusivamente di limitare, ritardare, condizionare il “soccorso” ai paesi a rischio default, anche ventilando una ristrutturazione del debito di questi Stati a parziale carico dei suoi detentori. In altre parole, il primo obiettivo della signora Merkel era quello di far pagare il meno possibile ai suoi concittadini il prezzo della altrui finanza allegra, a costo di passare da un default all’altro e a rischio di mettere in ginocchio lo stesso euro.

Oggi la posizione tedesca potrà apparire altrettanto “dura” ma certo è drasticamente mutata sul piano qualitativo: al primo posto è passato infatti l’impegno solenne alla difesa dell’euro. Le tradizionali richieste di Berlino ai partner più indisciplinati, miranti a rafforzare il “patto di stabilità” rendendo più cogenti i vincoli su deficit e debito e aumentando i controlli europei sui conti pubblici, vengono ora affiancate da un “patto di convergenza economica rafforzata” che altro non è che un abbozzo di politica economica comune: una strada che fino a ieri la Germania si era sempre rifiutata di imboccare. L’ex “gigante economico e nano politico” pare intenzionato a svolgere quel ruolo di leadership anche politica nell’Unione europea alla quale era già da parechio tempo la naturale candidata per via della sua stazza, della sua stabilità, delle performances dei suoi prodotti sui mercati mondiali, in una parola per via del suo “wirtschaftwunder” (miracolo economico) degli ultimi anni, compresa la relativamente rapida uscita dalla crisi.

La recente rinuncia del presidente della Bundesbank, Axel Weber, a correre per la prima poltrona della Bce, probabilmente ha molto a che vedere con il new deal europeo alla germanica. Weber aveva osteggiato gli interventi della Bce sui mercati per acquistare bond degli Stati più deboli: con ciò si era alienato le simpatie delle altre banche centrali e dei governi e rappresentava la più tradizionale e restrittiva politica monetaria tedesca. Una posizione inadatta a svolgere nel prossimo futuro un ruolo di leadership anche sul piano monetario, a esercitare quell’autorità che, a differenza del mero esercizio del potere, conferisce egemonia.

Tornando alla “svolta” berlinese, come ha scritto di recente, sul “Corriere della Sera”, l’economista Marcello Messori, “per la prima volta in una sede ufficiale, la Germania si è assunta responsabilità dirette nella gestione dei debiti sovrani dell’Ume in cambio di un più stretto coordinamento fiscale e macroeconomico fra gli Stati membri”. Pur sottolineando questa assoluta novità Messori ritiene che, nella loro attuale versione, le misure proposte da Berlino suonino ancora come un diktat e abbiano “forme inaccettabili”: “anche se è l’indiscusso paese leader, la Germania non può avere la pretesa di trasferire – senza mediazioni – le proprie scelte nazionali o i propri desiderata al resto dell’Ume”. Il professore non è affatto il solo a pensarla in questo modo, vi è chi ha parlato di “modi farseschi” della Merkel e chi ha sostenuto che più che una Germania europea si sta profilando un’Europa tedesca.