Gian Mario Rossignolo, dagli Agnelli (Fiat) alle stalle (De Tomaso)

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 18 Ottobre 2012 - 07:58| Aggiornato il 3 Marzo 2013 OLTRE 6 MESI FA
Gian Mario Rossignolo a Palazzo Chigi con i suoi figli Gian Luca ed Edoardo e un prototipo della De Tomaso presentato a Gianni Letta (LaPresse)

ROMA – Gian Mario Rossignolo è agli arresti domiciliari, suo figlio Gian Luca è in carcere, tutti e due con l’accusa di truffa ai danni dello Stato: questa l’ingloriosa fine di uno dei manager che all’inizio degli anni 70 sembrava uno degli astri nascenti dell’imprenditoria italiana. E che nell’arco della sua carriera è stato dirigente, amministratore delegato e presidente di aziende come Fiat, Lancia, Zanussi, Ericsson, Telecom. E alla fine la De Tomaso, casa automobilistica di “nicchia”.

Nato a Vignale Monferrato (Alessandria) il primo ottobre 1930, studia Economia e Commercio a Torino e nel 1957 entra nella Fiat e dieci anni dopo, a 37 anni, è già dirigente della divisione commerciale. Quindi nel 1969 diventa responsabile della pianificazione aziendale e del marketing centrale. Lo raccontano come il pupillo di Umberto Agnelli, che lo porta nel consiglio direttivo Fiat. Baciato dal sole degli Agnelli, si fa teorico e immagina mondi futuri nei quali non c’è più spazio per l’industria, quindi per la Fiat come fabbrica di macchine. Lo ricorda Salvatore Tropea su Repubblica:

aveva tentato di far passare la singolare teoria della “discesa delle tecnologie“: a suo dire significava prendere atto che i Paesi più industrializzati e avanzati d’Europa, come la Germania, la Francia e l’Italia, presto avrebbero abbandonato la strada dei prodotti maturi, come l’automobile, per dedicarsi ad altro. Forse per questa stravagante convinzione, che secondo quanto ricordato da Romiti era considerata “una follia” da Carlo De Benedetti, a quel tempo amministratore delegato del gruppo torinese, Rossignolo venne battezzato negli ambienti Fiat “venditore di aria fritta”.

Fu proprio Carlo De Benedetti a rivelarsi come il primo ostacolo nella carriera di Rossignolo. Arrivò alla Fiat nel 1976 e fra le cose che fece nei primi cento giorni da amministratore delegato fu licenziare Rossignolo. Poco male perché un anno dopo  ritroviamo Rossignolo come amministratore delegato di Lancia.

Poi però arriva lo scontro con Cesare Romiti e Vittorio Ghidella. Siamo nel 1979, Rossignolo ha l’ambizione di sganciare la Lancia dall’orbita del Lingotto e renderla un pianeta autonomo. Questo non piace all’allora amministratore delegato del Gruppo Fiat Romiti  e all’amministratore delegato della Fiat Auto Ghidella. La situazione precipita quando Rossignolo lavora con Giugiaro a una versione lusso dell’Autobianchi A112, la Lancia Uno. Il progetto viene travolto da uno dei più grandi successi di Mirafiori: la Fiat Uno sarà uno delle automobili più vendute in Italia e in Europa.

Niente Lancia Uno e niente Rossignolo, che lascia il mondo dell’automobile per farsi accogliere nelle braccia di Peter Wallemberg e di Enrico Cuccia. Il primo possiede il colosso Electrolux, il secondo consiglia al primo un manager per risanare la Zanussi, all’epoca zavorrata da 1.200 miliardi di lire di debiti: quel manager è Gian Mario Rossignolo. Che fino al 2002 sarà il “risanatore” ufficiale delle aziende del gruppo di Wallemberg.

Con una parentesi importante nel 1998, la nomina a presidente in una Telecom fresca di privatizzazione e piena di problemi. Problemi che Rossignolo non riesce a risolvere, lasciando il campo dopo 10 mesi in cambio di una liquidazione di 10 miliardi di lire. Un ritratto datato ’98 di Bruno del Sarto sul Corriere della Sera censisce le importanti amicizie che Rossignolo poteva vantare a fine anni 90:

Ridotti all’osso gli amici più importanti di Gian Mario Rossignolo sono tre o quattro: Umberto Agnelli, punto di riferimento del neopresidente nei difficili anni 70 in Fiat; Peter Wallenberg, presidente svedese dell’Electrolux che controlla la Zanussi; Guido Rossi, vecchia conoscenza di Rossignolo dall’inizio degli anni 80 e suo avvocato di fiducia in una vicenda giudiziaria riguardante il fallimento della Seleco. Rossignolo mantiene da almeno 14 anni ottimi rapporti personali con Enrico Cuccia che in passato lo sponsorizzò nell’operazione Zanussi-Electrolux, e conosce bene Romano Prodi, grazie a un’amicizia in comune con il presidente del Consiglio: Guidalberto Guidi, [ex] vicepresidente della Confindustria e prima ancora presidente dell’associazione industriali di Bologna. Guidi è l’uomo cui Zanussi vendette la Ducati Energia nella prima metà degli anni ’80. Intrattiene rapporti cordiali e professionali con banchieri come Lucio Rondelli e lo stesso consigliere economico di Rifondazione Nerio Nesi.

E, aggiungiamo, con pezzi del Pci “migliorista” torinese come Piero Fassino, Diego Novelli, Saverio Vertone. Perché piacesse tanto anche a sinistra lo spiega Salvatore Tropea:

era riuscito a cucirsi addosso un abito di manager non sgradito alle sinistre e mediamente non odiato dai sindacati. Quando ancora era in Fiat e subito dopo, questa immagine, nella Torino del sindaco comunista Diego Novelli e a fronte di quella di Romiti, sembrava quasi rivoluzionaria. Lui abilmente non fece mai nulla perché si pensasse il contrario. Anche perché presentarsi come ha sempre fatto, nei panni del risanatore di aziende e per ultimo anche di creatore di nuove imprese, lo aiutava a conquistare appunto le simpatie di certa sinistra e quelle dei sindacati, e a dare credibilità a progetti anche quando questi non stavano né in cielo né in terra.

Uno di questi progetti ambiziosi dai piedi d’argilla si è rivelato quello che ne ha segnato l’apparente fine: rilanciare un brand di automobili “da intenditori” aggiudicandosi copiosi finanziamenti pubblici. Dopo una parentesi non memorabile alla guida della Telecom appena privatizzata e in orbita Agnelli, nel 2009 ha rilevato il marchio De Tomaso (azienda che il tribunale di Livorno aveva dichiarato fallita) e ha affittato dalla Regione Piemonte per 650.000 euro gli stabilimenti Pininfarina. Nel 2010 era arrivato a proporsi come quello che avrebbe rilanciato, con la De Tomaso, il destino industriale di Termini Imerese.

Poi ha ottenuto con una fidejussione  7.681.700 euro come parte di un finanziamento di 19.204.207 euro che Ministero del Lavoro, Regione Piemonte e Commissione Europea gli avevano concesso per riqualificare gli operai con dei corsi di formazione nell’ambito di un ambizioso progetto industriale di produzione di auto sportive di lusso, con soci stranieri e tecnologie d’avanguardia. Ma, secondo il Gip di Torino Francesca Christillin, la fidejussione era falsa. Mentre non si è avuta più notizia dei soci stranieri e delle tecnologie d’avanguardia. Inoltre, dei mille lavoratori che in tre anni avrebbero dovuto frequentare i corsi finanziati, appena in 67 hanno iniziato la formazione e solo per pochi giorni.

Finale: Gian Mario Rossignolo agli arresti domiciliari, il figlio Gian Luca in carcere. Accusati degli articoli 110 e 640 bis del codice penale: truffa aggravata in concorso per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Pena: da uno a sei anni di reclusione.