Lavoretti, prestazioni occasionali: dal baby sitting alle consegne, la gig economy Lavoretti, prestazioni occasionali: dal baby sitting alle consegne, la gig economy

Gig economy, cosa vuol dire? Più liberi e più precari: i “lavoretti” al tempo di internet

Lavoretti, prestazioni occasionali: dal baby sitting alle consegne, la gig economy
Gig economy, cosa vuol dire? Più liberi e più precari: i “lavoretti” al tempo di internet

ROMA – Chi abbia una certa familiarità con musica e concerti pop o jazz, sa che anche in Italia con il termine inglese “gig” si intende una esibizione live: ma cosa deve capire quando si imbatte, ora sempre più di frequente, con l’espressione “gig economy”?

Significa tecnicamente “lavoro accessorio”, in pratica tutte le prestazioni occasionali, i lavoretti che si svolgono accanto alle attività principali, oppure molto saltuariamente offrendo la propria disponibilità solo per qualche ora al giorno o per esempio solo nei week-end. Baby sitter e consegne a domicilio sono le forme più conosciute.

Con lo sviluppo della tecnologia digitale – e quindi con una maggiore razionalizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro – il lavoro accessorio ha avuto un boom anticipatore di una tendenza che sta rivoluzionando il  mercato del lavoro.

Utilizzata per la prima volta in modo non specialistico da Hillary Clinton nel 2015 in campagna elettorale, solo il Movimento 5 Stelle ha messo l’espressione “gig economy” nel suo programma di governo a proposito dei controversi contratti di lavoro “voucher”, mentre il Pd vi allude con la proposta del salario minimo come “forma di tutela per i giovani che la sera consegnano pizze a 5 euro l’ora”.

In Italia (dati 2016) sono un milione e ottocentomila i lavoratori interessati (al netto di un contesto dove il “nero” è enorme, e per l’appunto necessita una regolamentazione puntuale). Nel 2010 erano solo centomila.

In Gran Bretagna la stima dei lavoratori saltuari fatta da un rapporto pubblicato nel luglio del 2017 è simile: un milione e 600.000 persone. La stessa prima ministra Theresa May aveva parlato all’inizio del proprio mandato della necessità di porre fine allo “sfruttamento di massa dei lavoratori della gig economy”. Negli Stati Uniti sono stimati 4 milioni di persone che lavorano attraverso applicazioni online che potrebbero diventare 7,7 milioni per il 2020, ma la percentuale di lavoratori saltuari è considerata molto più alta, anche oltre il 30% del totale dei lavoratori. (Paolo Magliocco, La Stampa)

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