Occupazione: in America si innova, in Europa si riconverte

La nuova turbina della Siemens

In Germania, la Siemens ha iniziato fabbricando turbine di energia elettrica per poi passare, durante la seconda guerra mondiale, alla fabbricazione di munizioni. L’azienda ora sta crescendo più velocemente che nel passato ed ha investito 500 milioni di euro per sviluppare  turbine “verdi”.

Oggi infatti le sue turbine sono tra le più avanzate al mondo e sono in grado di produrre energia per tutte le case di Berlino.

«La nostra fabbrica non è un museo, è un laboratorio» spiega il responsabile del progetto, Michael Schwarzlose. E un laboratorio è gran parte delle fabbriche europee che in tempo di crisi non possono essere agili come quelle degli Stati Uniti dato che sono costrette a mantenere in vita più posti di lavoro possibile; così, le grandi imprese europee si inventano progetti e rinnovano gli impianti aspettando la fine della recessione.

Questa politica sarebbe dovuta costare molto alle imprese europee in termini di minore redditività e di minore produttività, ma non sempre è stato così. Molti analisti ritengono che il modello europeo dovrebbe essere visto in maniera diversa. Se infatti «le aziende americane sono state più veloci ad adeguare la forza lavoro alla situazione mantenendo alti i margini di profitto» come spiega Gilles Moëc economista della Deutsche Bank, le imprese del Vecchio Continente pur mantenendo alto il numero dei lavoratori non hanno accumulato un ritardo nell’innovazione.

Gli americani usano le piccole imprese come motore per l’innovazione e per la creazione di posti di lavoro. L’Europa invece si basa spesso sulle sue grandi imprese per sostenere l’occupazione. La grande impresa resta uno strumento fondamentale sostenuta ora anche dalla ricerca in campo ambientale. «Gli operatori di grandi dimensioni che sarebbero stati considerati in ritardo tecnologico, hanno utilizzato le tecnologie pulite e la sostenibilità come elemento centrale per iniziare una nuova fase di crescita» spiega Luc Soete, professore di economia internazionale presso l’Università di Maastricht in Olanda.

Alcune grandi aziende hanno raggiunto risultati sorprendenti. La Siemens ha assunto 500 persone nel momento più profondo della crisi economica per poter produrre le nuove turbine che bruciano gas emettendo minori quantità di biossido di carbonio nell’atmosfera. Questa politica è stata favorita anche dalle alte tasse che gravano sui carburanti in Europa e per la presenza di cospicue sovvenzioni per la produzione di energia alternativa. Tali incentivi hanno un duplice scopo: sostenere l’occupazione verde e dare  a queste imprese europee un vantaggio strategico nello scacchiere economico mondiale.

Le risposte alla crisi economica che sono giunte dagli Stati Uniti di Obama hanno acceso un forte dibattito dato che le soluzioni sono state simili a quelle proposte in Europa. Così Washington ha sostenuto le grandi banche e l’industria automobilistica.

Mentre la disoccupazione in Europa è salita al di sopra del 20 per cento in alcuni paesi europei come la Spagna e la Lettonia, il relativo successo di altri paesi europei ha livellato il tasso di disoccupazione complessivo portandolo al 10 per cento, lo stesso dato riscontrato negli Stati Uniti. Ci sono paesi europei che hanno tenuto: ad esempio i Paesi Bassi hanno un tasso di disoccupazione pari al 4 per cento.

L’economia tedesca ha raggiunto il 5 per cento nel 2009, ma il suo tasso di disoccupazione era pari al 7,5 per cento fino a due anni prima. Al contrario, l’economia degli Stati Uniti si è ridotta del 2,4 per cento lo scorso anno con una disoccupazione che è più che raddoppiata. La capacità dell’economia tedesca, la più grande d’ Europa, di  tamponare la perdita di posti di lavoro nonostante la recessione, è “una sorta di miracolo economico” secondo Jörg Krämer, capo economista di Commerzbank a Francoforte.

Gran parte dell’attenzione per i posti di lavoro si è concentrata sul breve periodo: il governo tedesco ha tagliato ore lavorative ed aiutato con i soldi dei contribuenti i lavoratori. Solo un’operazione come questa ha salvaguardato circa il 20 per cento dei posti di lavoro. Nella maggiore flessibilità del mercato del lavoro americano dove i sindacati industriali sono deboli e la politica dei contratti è molto meno rigida, le aziende hanno risposto lasciando andare a spasso i lavoratori, tagliando così i costi e conservando alti i margini di profitto.

Così, nel dopo crisi, gli europei saranno ben posizionati e trarranno i vantaggi attraverso nuove opportunità di crescita. Nello stesso momento, le imprese americane saranno tenute a ricostruire la propria forza lavoro. Gli esperti europei dicono insomma che le strategie delle aziende del Vecchio Continente durante la crisi finanziaria e dei diversi modi in cui hanno trattato i lavoratori, dovrebbero portare ad una revisione della tradizionale visione americana secondo la quale le socialdemocrazie europee sono condannate a rallentare la crescita e ad avere un alta percentuale di disoccupati.

«Non è vero che esiste una correlazione tra quanto si spende in materia di politica sociale e il benessere e la crescita economica» ha aggiunto Paolo Guerrieri, professore di economia internazionale presso l’Università di Roma. «I migliori risultati della Danimarca, Svezia, Olanda, Germania dimostrano esattamente il contrario dato che si tratta di paesi che hanno tasse  e prestazioni sociali elevate».

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