ROMA – Google ricava 500 milioni l’anno vendendo spazi pubblicitari in Italia, ma non paga un euro di tasse in questo Paese. Iva, Ires, Irap: chi guida il motore di ricerca più potente del mondo non sa cosa siano. Ora, dalla Francia alla Gran Bretagna fino all’Italia si cerca di recuperare il tempo perduto e un po’ di equità fiscale. Il deputato Pd Stefano Graziano ha presentato alla Commissione Finanze una proposta che costringa il colosso di Mountain View a contribuire fiscalmente per quanto pesa.
Il governo, il ministro dell’Economia Grilli, sarebbero orientati a recepire i criteri adottati per la cosiddetta norma “anti-Ryanair”: il decreto sviluppo in discussione alla Camera prevederebbe di far pagare almeno i pieni contributi ai dipendenti, invece che quelli modesti che applica l’Irlanda. Il problema di fondo resta, infatti, che l’Europa concede alle aziende la libertà di scegliere in quale dei 27 Stati membri stabilire la propria sede fiscale. E Dublino tassa al 12,5% . Per questo la soluzione ideale dovrebbe essere comunitaria. Grazie a una triangolazione con Amsterdam e le Bermuda, battezzata “sandwich olandese”, Google nel 2011 ha pagato 8 milioni di tasse su 12,5 miliardi di ricavi.
“Utilizzano tecniche collaudate”, spiega Carlo Garbino, professore alla Bocconi intervistato da Repubblica. “Stabiliscono la propria sede in Paesi con regimi vantaggiosi, come l’Irlanda. O caricano costi aggiuntivi in quelli dove le tasse sono più alte”. Quindi è tutto regolare. Così fan tutti, da Amazon a Facebook. Google è solo il caso più evidente.