Il governo: “Tutta privata”. “No, tutta pubblica”. Guerra di religione sull’acqua

Chiesto il voto di fiducia, cioè senza discussione e modifiche, sulla legge che lascia agli enti pubblici solo il 30 per cento delle aziende del servizio acqua Protestano le opposizioni, mobilitano ambientalisti e consumatori

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Di chi è l’acqua? Di tutti, è un bene pubblico, non può essere considerata una merce o un bene come il petrolio o l’oro. E’ un po’ come l’aria l’acqua, deve essere a disposizione di tutti in una società che voglia dirsi civile. Ma, a differenza dell’aria, l’acqua per poter essere usata da tutti ha bisogno di impianti, condutture, reti di distribuzione. E di chi sono impianti, condutture, reti di distribuzione? Non possono essere “di tutti”, devono essere per forza di cose di chi investe e spende per realizzarli e tenerli in funzione. Tra questi due principi, di etica e di realtà, si dovrebbe muovere e tenta di muoversi la legislazione europea, e di conseguenza quella italiana, sull’acqua. Garantire che l’acqua arrivi a tutti ad un prezzo accessibile e garantire che chi rende possibile l’acqua nel rubinetto di casa ne abbia un guadagno. Una legislazione difficile e forzatamente complessa, resa quasi impossibile nel nostro paese da una sorta di “guerra di religione” sull’acqua.

Il principio dell’acqua bene pubblico è stato tradotto in italiano nella regola e nella prassi del servizio acqua gestito da enti pubblici. Non è la stessa cosa e non sempre l’ente pubblico garantisce efficienza e costi ragionevoli. Anzi, in Italia lo spreco di acqua e di soldi è massimo. L’acqua la paghiamo poco in bolletta ma molto in tasse. Quindi dare la possibilità ai privati di gestire il servizio acqua non è bestemmia civile ed economica e così infatti invita a fare la legislazione europea.

Ma il governo ha tradotto l’invito a mettere in concorrenza pubblico e privato in una esclusione di fatto del pubblico: la legge italiana su cui il governo ha posto la fiducia, niente meno che la fiducia, cioè il voto a scatola chiusa e senza discussione e modifiche, stabilisce che l’ente pubblico non può avere più del 30 per cento di un’azienda che opera nel settore. Quindi una privatizzazione obbligatoria e indiscriminata.

La scelta del voto di fiducia, annunciata in Parlamento per la ventottesima volta dal ministro Vito, ha scatenato la comprensibile protesta delle opposizioni. Così com’è la legge infatti non convince neanche tutti i parlamentari della maggioranza: si fosse discussa avrebbe di sicuro conosciuto non ritardi come dice il governo, ma modifiche ed eccezioni. Protesta che però ha preso subito il segno dominante di un rifiuto totale di ogni ipotesi di privatizzazione, tesi cara a molti ambientalisti, associazioni di consumatori e teorici ad oltranza della mano pubblica comunque e sempre. C’era una legge difficile da fare, il governo ha pensato fosse più facile fare una legge senza discutere e l’opposizione trova più comodo fare le barricate. Da una parte una liberalizzazione sostanzialmente senza controlli e garanzie, dall’altra il comnadamento dell’acqua agli enti pubblici anche se qualche ente pubblico l’acqua la spreca insieme ai pubblici soldi. Non è un gran scegliere.

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