Guerra mondiale dei cambi. Tokyo svaluta lo yen, Berlino minaccia ritorsioni

ROMA – Il Giappone svaluta lo yen, Usa e Cina  sotto sotto già lo facevano con dollaro e yuan, l’Europa rischia di rimanere con il classico cerino in mano e un euro troppo forte perché le sue esportazioni non ne risentano drammaticamente. Attraverso le armi non convenzionali delle banche Centrali, si approssima quindi una guerra mondiale valutaria, giusto in tempo per vanificare i pur timidi segni di ripresa globale, dopo le tempeste finanziarie che hanno scosso dalle fondamenta la zona euro?

E’ quello che pensa il banchiere centrale tedesco Jens Wiedman, è quello che temono i produttori renani come quelli veneti: il primo paventa l’erosione dell’autonomia delle banche centrali che rischia di accendere una bomba politica planetaria sacrificando una sana competizione sui mercati planetari, i secondi che un euro troppo apprezzato ammazzi l’export. Weidman ha accusato Tokyo di pilotare al ribasso lo yen per far ripartire la sua economia e minaccia ritorsioni al G20 che si apre oggi (23 gennaio) a Davos.

In effetti le accuse tedesche sono fondate: BoJ (Bank of Japan) e il governo di centrodestra giapponese guidato da Shinzo Abe hanno raggiunto un’intesa di politica monetaria per raggiungere un 2% di inflazione programmata, per uscire dalle strette di una deflazione non più sostenibile. Per questo BoJ acquisterà in maniera illimitata bond nazionali e immetterà tanta liquidità da far impallidire le iniezioni di capitale della Bce di Draghi. Ogni paese, in questa guerra di tutti contro tutti, cerca con ogni mezzo, lecito o meno che sia, di sostenere le proprie economie nazionali, cioè di favorire la vendita dei propri prodotti.

In questo senso la Bce è, per statuto, per storica adesione ai precetti della Bundesbank, la banca centrale meno attrezzata per difendere la competitività dell’euro, di fronte alla disinvoltura con cui Tokyo, Pechino, Washington, Londra non si fanno alcuno scrupolo di aumentare artificialmente l’inflazione. D’altra parte, Giappone e Usa, per esempio, non corrono il rischio degli attacchi speculativi sul fronte dei titoli di stato come è successo per l’Italia, la Grecia o la Spagna, pur in presenza di un debito pubblico da capogiro.

Tokyo ha un debito pubblico in rapporto al Pil doppio del nostro, ma il 91% è detenuto da mani giapponesi; gli Stati Uniti conservano ancora il ruolo di arbitro strategico della politica mondiale e possono permettersi le sue di politiche monetarie espansive. Il Giappone, se è per questo, può anche permettersi una supermanovra fiscale nonostante la recessione.

Tokyo-Berlino, crocevia pericoloso della Storia, stavolta a parti ribaltate, gli ex alleati si fanno la guerra sul terreno finanziario. L’ingerenza del governo giapponese (dubbi e scetticismo sulla mossa di Abe sono stati espressi anche da Wall Street Journal e New York Times) sulla banca centrale è evidente, palese: dove non arrivasse l’aggiustamento costituzionale per limitare l’autonomia di BoJ, sarà l’avvicendamento ai vertici di marzo/aprile che preparerà la strada all'”inflation targeting”. A dispetto di Weidman che ripete, inascoltato, che la politicizzazione dei tassi di cambio è nefasta, che “la politica monetaria non può sostituirsi alla ricerca di fondamentali sani”.

Consideriamo il paradosso attuale (Il Sole 24 Ore): “L’area economicamente più debole si ritrova anche la valuta più forte”. E’ l’euro il classico vaso di coccio stretto tra i vasi di ferro. Dai minimi della scorsa estate, l’euro si è apprezzato del 10% sul dollaro, del 25% sullo yen, dell’8% sulla sterlina. In pratica, sei mesi fa, un prodotto giapponese lo pagavamo un quarto in più del suo valore attuale, con il vantaggio, in termini di export per Tokyo, facilmente immaginabile.

Ora, nella bilancia commerciale dell’Eurozona nei confronti dei maggiori suoi competitor, dobbiamo osservare che (dati 2011 fonte Eurostat): importiamo per 52 miliardi ed esportiamo per 39 con il Giappone, importiamo per 217 miliardi dalla Cina e esportiamo per 115. Un deficit commerciale enorme nei confronti delle due potenze asiatiche. E la stagione dei tagli di interesse voluta da Draghi è terminata. “Già sarebbe buona cosa se la Bce non iniziasse a pensare di alzare quei tassi , come rovinosamente fece, sotto la pressione di Bundesbank, J. C. Trichet mel 2011” (Walter Riolfi, Sole 24 Ore).

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