Dai genitori ai figli: le due situazioni fondamentali attraverso cui, secondo legge, i debiti possono essere ereditati dalla prole.
Il biblico “Le colpe dei padri ricadranno sui figli” si applica anche a livello fiscale quando si parla di debiti. Non sempre, per fortuna. I debiti dei genitori possono passare ai figli principalmente in due situazioni. La prima concerne l’accettazione dell’eredità e la seconda l’istituto della fideiussione. In generale, i debiti restano a carico di chi li ha contratti. La situazione può mutare, già in vita, in presenza di specifiche garanzie.
Le norme che regolano il passaggio dei debiti dai genitori ai figli sono stabilite dagli articoli che trattano l’accettazione e la rinuncia all’eredità. Per esempio l’articolo 459 del Codice Civile. La norma in questione stabilisce che l’eredità si acquista con l’accettazione. L’articolo 519, invece, è la legge che disciplina la fattispecie della rinuncia all’eredità. Entrambe queste azioni sono fondamentali per isolare e interpretare giuridicamente quest’ambito della successione.
Quando un genitore muore, i suoi debiti possono essere ereditati dai figli nel caso in questi accettino l’eredità. In tale circostanza, infatti, i figli ereditano non solo i beni ma anche i debiti del genitore defunto. Di conseguenza, è possibile evitare di ereditare i debiti rinunciando all’eredità. Bisogna tuttavia far attenzione ai limiti temporali. Non è infatti possibile rinunciare all’eredità in qualsiasi momento.
L’atto di formale rinuncia va fatto entro un termine specifico, che secondo l’articolo 480 del Codice Civile italiano è di dieci anni dalla data di apertura della successione (riferimento che coincide grossomodo con la data di morte del defunto). Ovviamente non è possibile rinunciare solo a parte dell’eredità. Per legge, l’eredità deve essere accettata o rinunciata nella sua interezza. In base a ciò, l’erede che scopre la presenza di debiti contratti dal genitore non è in grado di accettare solo quella parte di lascito conveniente.
In nessuna maniera è consentito accogliere i beni e rifiutare i debiti. La rinuncia all’eredità va intesa dunque come totale e riguarda tutti i beni e i debiti del defunto. Ereditando, il figlio può quindi essere soggetto a pignoramenti in virtù delle obbligazioni contratte dal genitore e non saldate prima del decesso.
I pignoramenti sono tuttavia proporzionali alla sua quota ereditaria, e mai per l’intero debito. La legge italiana chiarisce infatti che tra gli eredi non sussiste responsabilità solidale ma solo responsabilità parziaria. Questo significa che ciascuno risponde dei debiti del genitore entro i limiti della percentuale del patrimonio ereditato.
Per rinunciare all’eredità si può produrre una dichiarazione espressa rilasciata al notaio o al cancelliere del tribunale (del luogo di ultima residenza del genitore). In alternativa si può lasciar decorrere il periodo stabilito di dieci anni dal decesso senza accettare l’eredità. In assenza di accettazione, il lascito economico si considera rinunciato. Ma se il figlio usufruisce dei beni del genitore (se per esempio usa o affitta la sua casa), scatta la cosiddetta accettazione tacita.
In caso di debiti ingenti, ci si può tutelare anche con l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario. Con questa fattispecie, l’erede risponde dei debiti del padre non con il suo patrimonio personale ma con quello ricevuto in successione e solo nei limiti del suo valore. I creditori del genitore defunto possono quindi pignorare solamente i beni che il figlio ha ricevuto in eredità.
Se invece un figlio ha prestato fideiussione a favore del genitore, può essere chiamato a rispondere dei debiti del genitore anche durante la vita di quest’ultimo. In generale, non tutti i debiti possono ricadere sui figli. Gli eredi non dovranno mai dover pagare multe stradali, sanzioni amministrative, penali o tributarie (tranne che nel caso dell’imposta non versata), debiti di gioco, mantenimento all’ex coniuge o ai figli e obbligazioni di carattere personale.
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