Il giugno di Mario Draghi: taglio tassi, più credito. Ma solo dopo le Europee

Il giugno di Mario Draghi: taglio tassi, più credito. Ma solo dopo le Europee
Il giugno di Mario Draghi: taglio tassi, più credito. Ma solo dopo le Europee

ROMA – Il giugno di Mario Draghi: taglio tassi, più credito. Ma solo dopo le Europee. La Bce lascia i tassi allo 0,25% ma a giugno sarà pronta ad agire: il presidente Mario Draghi e i Governatori delle banche centrali, preoccupati dall’euro forte combinato al prolungato periodo di bassa inflazione, sono all’unanimità pronti a muoversi con un taglio del tasso d’interesse e forse anche introducendo interessi negativi sui depositi bancari dei capitali parcheggiati alla Bce.

Ma non subito: muoversi in anticipo, sbagliare la tempistica, potrebbe compromettere in maniera irreparabile i risultati attesi. E potrebbe dare la sensazione che la Bce si muova sulla scorta delle pressioni e degli interessi contingenti pregiudicandone l’autonomia che lo statuto gli conferisce e di conseguenza la credibilità.

“L’effetto annuncio fa metà del lavoro” titola Il Sole 24 Ore. Per il mercato arriva il segnale atteso: l’euro piomba da quasi 1,40 dollari a 1,3850, lo spread italiano va ai minimi dal maggio 2011 sotto 147, Milano e Madrid fanno un rally rispettivamente del 2,30% e 1,70%.

Appuntamento a giugno, dunque: perché le elezioni europee e le relative pressioni elettorali saranno già in archivio, perché varare subito misure espansive (come una ulteriore riduzione dei tassi) per ridurre l’inflazione confermerebbe che la deflazione è davvero alle porte, circostanza invece da escludere visto che sul medio periodo la previsione è che si attesterà nei pressi del 2%. Bisogna aspettare l’evoluzione dei processi geostrategici in atto (la crisi ucraina) e l’atteggiamento della Federal Reserve americana che annuncia la fine della politica ultra-espansiva ma non la mette in agenda.

Cosa farà Draghi a giugno.  “Il consiglio si sente di agire il prossimo mese”, ha dichiarato ieri Mario Draghi. In pratica l’annuncio di un intervento il prossimo 5 giugno, all’indomani del voto europeo e con in mano le nuove proiezioni, appunto, sull’inflazione da qui al 2016. Intervento che probabilmente dovrebbe essere una riduzione del tasso principale d’interesse (oggi allo 0,25%, si immagina un taglio di 10-15 punti base), tale da rendere gli investimenti in euro meno remunerativi e dunque a far calare le quotazioni, gonfiate dagli afflussi dagli emergenti a partire dai capitali in fuga dalla Russia, altro tema che tiene la Bce in allerta.

Ma la Bce potrebbe anche portare in negativo, in una manovra senza precedenti, il tasso sui depositi bancari (i capitali che le banche parcheggiano alla Bce a tasso zero), rimettendo in circolo liquidità e contribuire finalmente ad allentare la stretta creditizia. Meno probabili, anche se non escluse, misure straordinarie come un piano di acquisto di prestiti cartolarizzati o di titoli di Stato: probabile che per il primo tipo d’intervento la Bce attenda di aver completato i test sulle banche, e per il secondo incroci le dita sperando di non doverlo mai usare.

Super euro: come incidono Ucraina e Federal Reserve. Due schock finanziari incidono pesantemente sull’euro, facendolo apprezzare al punto di far cadere i prezzi delle materie prime ed alimentari spingendo in basso l’asticella dell’inflazione: la crisi ucraina e il comportamento incoerente della banca centrale americana. Nel primo caso a preoccupare è il taglio delle forniture di gas all’Europa ma soprattutto la fuga di capitali dalla Russia in direzione dell’euro. Nel secondo, i paesi emergenti, frustrati dall’incoerenza delle scelte della Fed, abbandonano il dollaro e si rifugiano nell’euro, apprezzandolo ancora. Incoerenza perché agli annunci non seguono le azioni, perché gli obiettivi programmati, in termini di occupazione e inflazione, sono stati eliminati dall’agenda macroeconomica.

Bassa inflazione. “Ci vediamo a giugno”, dice Draghi ribadendo che il consiglio è unanimemente impegnato a mobilitarsi con misure straordinarie, e ad “agire velocemente” di fronte a un’inflazione che resterà bassa a lungo con un “miglioramento solo graduale”. Solo nel 2016 le previsioni danno l’inflazione a livelli “normali” dell’1,7% (il 2% è considerato l’optimum): ma sul breve periodo le stime, purtroppo vanno ribassate rispetto al troppo ottimistico 1%. Ciò che non va fatto, perché autolesionista, è convincere i mercati che l’inflazione continui a scendere: in termini psicologici, mettere sul piatto misure ultra espansive immediate sarebbe un boomerang, perché gli investitori vedrebbero confermate indirettamente le peggiori previsioni. La gestione delle attese è decisiva per contrastare la volatilità.

 

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