ROMA – Uno sblocco tra i 20 e i 30 miliardi di euro. A tanto ammonta l’impegno che le banche dovrebbero garantire per ”sollevare” le imprese dal fardello dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. La soluzione dell’annoso problema dei debiti della pubblica amministrazione insieme a quello della stretta del credito, lamentati a più riprese da Confindustria, rappresentano infatti un tassello fondamentale nella strategia di crescita e di rilancio dello sviluppo che il governo punta a mettere in campo. Da qui la convocazione del tavolo al ministero dello Sviluppo economico, dove l’Abi e Corrado Passera non hanno però ancora trovato un accordo definitivo.
Le banche hanno proposto tre strade per rilevare i crediti vantati dalle imprese verso lo Stato, ma le prime due, che comportano la cessione effettiva del credito dall’impresa alla banca, sembrano difficilmente praticabili. La cessione del credito “pro solvendo”, in cui l’onere dell’effettivo recupero delle somme ricade sulle imprese che li cedono e non sugli istituti di credito che li acquistano, non piace agli imprenditori. Anche perché l’operazione non avrebbe l’effetto di liberare margini sulle linee di credito concesse dalle banche. La cessione “pro soluto”, dove l’onere del recupero ricade sulla banca, trasforma il credito commerciale in un credito finanziario verso lo Stato e si trasforma in debito pubblico, soluzione che ovviamente non piace al governo.
Resta in piedi, invece, l’ipotesi dello sconto delle fatture, per il quale il sistema bancario è pronto a mettere sul piatto 15 miliardi, che potrebbero presto diventare 20 (e che si aggiungono ai 5 già messi a disposizione per le piccole e medie imprese), assistita però da un paio di meccanismi importanti, che la renderebbero certamente più praticabile.