La burocrazia fa bruciare alle aziende 16 miliardi all’anno, soprattutto al sud

La burocrazia fa ‘bruciare’ alle imprese 16,6 miliardi di euro ogni anno. E il suo peso spacca l’Italia a metà, con le provincie del Nord caratterizzate da una pubblica amministrazione ‘amica’ e quelle del Centro-Sud costrette a combattere con un ambiente più difficile per metter su un’azienda. E’ la fotografia scattata dall’Ufficio studi di Confartigianato, che ha stilato una classifica su tempi e costi per fare impresa, assegnando il podio a Ravenna, Reggio Emilia e Prato, mentre Catanzaro, Roma e Cosenza finiscono agli ultimi posti.

Per ciascun territorio provinciale, Confartigianato ha misurato la qualità di alcuni servizi pubblici (dalla possibilità di effettuare pagamenti online ai tempi di pagamento della P.A. verso le aziende private) necessari per avviare e gestire un’attivita’ imprenditoriale. Il risultato e’ che le aree con il contesto piu’ adatto alle attivita’ produttive risultano tutte al Nord, mentre le provincie con il maggior peso di burocrazia a carico delle aziende sono invece al Centro-Sud. Nonostante gli esempi virtuosi, Confartigianato conferma le proprie ”preoccupazioni per il costo complessivo della burocrazia a carico delle imprese”: secondo l’ufficio studi le aziende dei settori manifatturiero, costruzioni e servizi ‘bruciano’ 16,629 miliardi di euro l’anno, pari a circa un punto di Pil, equivalente ad un costo medio per azienda di 12.334 euro.

E la quota maggiore di questi oneri, pari al 76,3%, e’ a carico delle microimprese con meno di dieci dipendenti. Tutto cio’ condanna l’Italia al penultimo posto tra le 30 economie avanzate per la facilita’ di fare impresa, davanti solo alla Grecia, e al 78/mo posto nella classifica mondiale. ”E’ impensabile che un’impresa e’ favorita se si trova in provincia di Ravenna e sfavorita se e’ in provincia di Catanzaro, la concorrenza non e’ leale perche’ non dipende dalle capacita’ ma dalla sorte”, sottolinea il presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini che, per equiparare le situazioni, chiede al governo di ”dare attuazione concreta al provvedimento contenuto in Finanziaria sulla ‘Segnalazione certificata di inizio di attivita” (Scia), per cui un imprenditore apre un’impresa e poi vengono vengono fatti i controlli”.

A livello mondiale le peggiori performance dell’Italia vanno dalla soluzione giudiziale delle controversie commerciali (156/mo posto) ai tempi di pagamento di imposte e contributi (136/mo), dall’assunzione personale (99/mo) al trasferimento di una proprieta’ immobiliare (98/mo), all’accesso al credito (87/mo) e alla concessione di licenze edilizie (85/mo). Per i tempi di avvio di una nuova impresa si colloca al 75/mo posto, ma nell’ambito delle economie avanzate e’ appena 21/ma tra le 27 economie Ocse.

Proprio a proposito dei tempi d’avvio d’impresa, Confartigianato ripone speranze nella Segnalazione certificata di inizio attivita’, che dovrebbe migliorare i risultati ottenuti dalla Comunicazione Unica (dal primo aprile sostituisce le precedenti quattro procedure), ma fa notare che, secondo una propria analisi, resta ”ancora elevato” il numero di pratiche da gestire in fase di avvio e ”ancora insufficiente” l’utilizzo da parte della P.A. delle tecnologie online. Nei settori della gelateria artigianale, dell’acconciatura e dell’edilizia, ad esempio, rimangono fuori dall’ambito di ComUnica 14 delle 16 procedure necessarie per avviare l’impresa.

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