Imu disastro. Tasse stratosferiche: Luca Ricolfi autocritica

Pubblicato il 7 Maggio 2013 - 05:26 OLTRE 6 MESI FA
luca ricolfi

Luca Ricolfi. autocritica Imu

Sulla Imu, Luca Ricolfi è tanto onesto da fare autocritica, sulla prima pagina della Stampa, ma lo fa con parole così metalliche da dare i brividi.

Fa “autocritica” (parola sua) con due domande:

1. “Siamo sicuri che l’ Imu sia un’imposta così innocente, sotto il profilo degli effetti sulla crescita?[…]  è capitato anche a me di sostenere la tesi che le imposte sul patrimonio siano fra le meno dannose ai fini della crescita”.

Lo dice “in chiave autocritica”, ma poi ti butta lì una frase che ferisce: sapete, cari, è

“un’idea peraltro molto diffusa fra gli studiosi”.

Che gli studiosi siano pericolosi lo si capisce da quel che segue:

“Però, dopo aver osservato gli effetti del primo anno di super-imposta sulla casa, sono assai meno sicuro di quel che fino a qualche tempo fa mi pareva relativamente scontato”.

Qui sdrucciola un po’ nel cinismo:

“Mi sembra che i difensori dell’Imu abbiano sottovalutato l’ampiezza di tre effetti che il passaggio dall’ Ici all’ Imu ha comportato: la perdita di posti di lavoro in edilizia, la riduzione della ricchezza patrimoniale degli italiani, il calo della domanda di consumi conseguente a tale riduzione (il livello dei consumi non dipende solo dal reddito, ma anche dal patrimonio)”.

Che ci volete fare, è andata così, cari disoccupati, abbiamo scherzato, coraggio, non prendetevela.

2. “Siamo sicuri che, sempre ai fini della crescita, una Iva bassa sia una priorità?”.

Qui si perde in una serie di argomenti da tesi di laurea, che in molti capiamo se non in un punto: la pressione fiscale in Italia ha superato di gran lunga livelli che in passato, nella storia del mondo, misero in moto autentiche rivoluzioni.

Luca Ricolfi, sempre un po’ con il tono del turista svizzero, sostiene che

“l’ideale sarebbe tagliare alcune spese superflue per evitare l’aumento (automatico) dell’imposta. E tuttavia colpisce l’enfasi dei media sull’ Iva, e la contemporanea modesta attenzione dell’opinione pubblica al Ttr (Total tax rate), ossia all’imposizione complessiva sul profitto commerciale, che in nessuno dei 34 paesi Ocse raggiunge il livello stratosferico che ha in Italia (68,3%). Eppure, a pressione fiscale costante, un aumento dell’ Iva compensato da una riduzione equivalente del Ttr avrebbe effetti positivi su crescita, occupazione e bilancia dei pagamenti (l’ Iva grava sulle importazioni, ma non sulle esportazioni)”.

E finalmente un punto di buon senso, anche se condito di amarezza:

“Se, come è verosimile, non si riuscirà a ridurre la spesa pubblica improduttiva, e si finirà solo per spostare il peso fiscale da una tassa all’altra, forse, prima ancora di chiederci come evitare l’aumento dell’Iva, dovremmo chiederci come ottenere una diminuzione del Ttr, senza la quale è difficile immaginare una ripresa dell’occupazione”.