ROMA – Prima la stangata sui villini, smentita. Poi l’ipotesi di rimodulare il pagamento dell’Imu sulle fasce di reddito Isee e ancora l’idea di creare una nuova tassa Ics che racchiuda in sé Imu, Tares e le altre tasse da indicare come “casa e servizi“. La riforma sull’Imu è una priorità del governo di Enrico Letta, che deve cercare di aumentare la platea degli esenti senza perdere buona parte del gettito di 4 miliardi di euro necessario al bilancio italiano.
Intanto il governo ha sospeso la prima rata dell’Imu sulla prima casa, tranne che per le abitazioni principali di lusso, ma a settembre se non sarà fatta chiarezza sarà il momento di versare l’acconto dell’Imu. Ora entro il 31 agosto il governo dovrà avere una riforma approvata in manu, oppure si tornerà ad applicare l’Imu a tutti e la prima rata andrà versata il 16 settembre.
Secondo Paolo Russo de La Stampa, dopo il dietrofront sulla stangata dei villini, che avrebbe “salvato” dall’Imu il 90% dei contribuenti, le soluzioni rimaste al governo sono tre:
“Il primo prevede di rimodulare l’imposta su 5 fasce di reddito Isee, innalzando progressivamente la franchigia dagli attuali 200 fino a un massimo di 600 euro per i nuclei familiari meno ricchi. Un modo per esentare oltre l’80% dei contribuenti ma che facendo pagare i più abbienti garantirebbe quasi la metà del gettito”.
Poi c’è l’ipotesi di far pagare, oltre a chi possiede ville e case signorili, anche le abitazioni civili che superano ad esempio i 100 o i 120 metri quadri:
“Che significherebbe far tornare a pagare tra i 2,5 e i 3 milioni di immobili, anche se esentati sarebbero comunque l’85% dei proprietari di prima casa. Costo dell’operazione: 2,2 miliardi, che sono sempre molto meno di quattro.”
Poi c’è l’ultima ipotesi, quella della “tassa Ics”:
“La terza ipotesi è quella di procedere spediti verso la riforma della tassazione degli immobili, inglobando Imu, Tares sui rifiuti e imposte su servizi indivisibili (come strade o illuminazione) nella nuova «tassa Ics», imposta casa e servizi. La base imponibile a questo punto terrebbe conto di un mix tra metri quadri e numero componenti della famiglia, un po’ come avviene già oggi per la tassa rifiuti”.
Queste le principali possibilità di riforma, una riforma che Valentina Santarpia del Corriere della Sera definisce “british”, specialmente per la tassa Ics che ricorda molto la council tax, cioè la tassa sui servizi inglese. L’unico modo, secondo la Santarpia, per riunire sul tema Pd e Pdl, divisi tra chi vuole trovare fasce di esenti e chi dell’Imu chiede la cancellazione per tutti.
Secondo il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta (Pd), le principali ipotesi in campo su cui decidere entro la metà di agosto sono solo due: “Togliere completamente l’Imu sulla prima casa o rimodularla”. Ma la terza via che potrebbe unire tutti è proprio la tassa Ics, scrive Santarpia:
“In pratica, la famiglia pagherebbe in base al valore dell’immobile, ma anche considerando il quartiere in cui è collocato, e quindi i servizi (dai trasporti all’illuminazione) che ha a disposizione. Questo nuovo meccanismo potrebbe essere commisurato all’indicatore del benessere economico familiare, l’Isee, per sostenere chi è più svantaggiato. Ma il governo definirebbe solo i principi generali, per lasciarne l’effettiva gestione ai Comuni, che così potrebbero stabilirne i dettagli in base alle caratteristiche del proprio territorio. Oltre all’evidente vantaggio di gestire direttamente in proprio il gettito”.
Se il governo potrebbe trovare con l’accordo grazie alla tassa inglese, il cittadino forse non risparmierebbe così tanto come potrebbe pensare, spiega la Santarpia:
“Non è detto che però questa tassa costerebbe meno agli italiani, anzi: non solo perché sarebbe come far uscire l’Imu dalla porta per farla rientrare dalla finestra, come notano in tanti, ma anche perché proprio nel Regno Unito, dove si applica una formula simile, le tasse sulla casa risultano tra le più alte tra i Paesi occidentali. Secondo l’Ocse il rapporto tra le imposte che gravano sulla proprietà immobiliare ed il Pil, per l’anno 2011, è pari all’1,9% in Spagna, 2,2% per l’Italia, al 3,7% per la Francia. Il Paese dove questo rapporto è più elevato è proprio il Regno Unito, con una percentuale del 4,1%”.
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