Una Ferrari con la benzina agli sgoccioli: è questa l’immagine del Paese scelta dall’ad di Eni Descalzi perché si comprenda, senza illusioni o false aspettative, che prima di parlare di indipendenza energetica bisogna affrontare la dura realtà di un Paese che di energia non ne produce.
“Non abbiamo energia, e se non hai l’energia come materia prima sei a rischio di approvvigionamento. Come Europa non abbiamo i soldi per fare grossi sforzi infrastrutturali e dobbiamo lavorare sulle infrastrutture che abbiamo. Prima di parlare di indipedenza energetica dobbiamo capire che senza energia non viviamo. Non si può parlare a vanvera. Dobbiamo essere sinceri con noi stessi. Dobbiamo essere aperti e capire che siamo agli sgoccioli, siamo come una Ferrari che non ha benzina”. Così l’Ad di Eni, Claudio Descalzi, al convegno organizzato da Forza Italia su ‘Indipendenza energetica al 2050, la parole alle imprese: come riuscirci”.
Descalzi ha spiegato che altri paesi “non sono indipendenti ma hanno trovato una diversa indipendenza. Un piano di sicurezza energetica può essere un piano di indipendenza energetica che deve essere fatto da tantissime interconnessioni. L’Italia ad oggi in campo energetico ha quasi il 78% di fonti fossili. “Per fare un piano di sicurezza energetica bisogna fare i conti con i consumi, qual è la domanda, ha aggiunto
Parlando in modo “appassionato”, Descalzi ha aggiunto che “al nucleare abbiamo detto no per troppo tempo e quello di 4/a generazione è da promuovere perche è il piu avanzato e ci dà indipendenza”. Poi “dobbiamo spingere sulle rinnovabili” ma bisogna “avere coerenza intellettuale altrimenti si arriva a questo tipo di contraddizione, vuoi essere piu pulito ma poi sei piu povero. Dobbiamo sederci e capire chi puo parlare altrimenti in un disordine che non possiamo permetterci alla fine rimaniamo senza energia e moriamo”.
Dei conflitti in corso “mi preoccupano di più le conseguenze sulle persone e la società. La conseguenza sulla supply chain si traduce in un aumento dei costi, ma i conflitti sono prima di tutto un fatto umanitario”.
Rispetto alla supply chain, “vuol dire tempi e percorsi più lunghi, parlo di Mar Rosso, Gaza e Suez, sono questi che hanno un impatto, anche se marginale in questo momento, perché non impattano moltissimo sui prezzi”.