L’aggiustamento dei salari minimi per proteggere dal caro-prezzi ha “contribuito a contenere l’impatto dell’inflazione sul potere d’acquisto dei lavoratori a bassa retribuzione”, con un rischio “limitato” di alimentare ulteriormente i rincari.
Lo affermano due economisti dell’Ocse Sandrine Cazes e Andrea Garnero in uno studio pubblicato dal Centro per la ricerca sulla politica economica.
“I salari minimi legali dovrebbero continuare ad adeguarsi regolarmente”, suggeriscono quindi. Un contributo importante, insomma. Che in Italia arriva in un momento in cui proprio lo strumento del salario minimo è al centro del dibattito-scontro tra opposizioni e maggioranza.
Con aperture al confronto espresse anche ieri dalla ministra del Lavoro Marina Calderone e l’attesa che il tema torni al centro del confronto già a settembre.
L’analisi di Cazes e Garnero ricorda come negli ultimi due anni a fronte di un’inflazione che non si vedeva da decenni, i salari reali sono scesi per diversi trimestri per arrivare a fine 2022 sotto del 2,2% rispetto all’ultimo trimestre del 2019 (in 24 su 34 Paesi di cui ci sono i dati).
Tra dicembre 2020 e maggio 2023, quasi tutti i paesi Ocse hanno adottato misure per aumentare i propri salari minimi per tenere il passo con l’inflazione. In media i salari minimi legali nominali sono aumentati del 29% tra dicembre 2020 e maggio 2023. Mentre i prezzi sono aumentati del 24,6% nello stesso periodo.
Lo studio ricorda le differenze tra i diversi Paesi, con adeguamenti semestrali o annuali, discrezionali o automatici in caso di indicizzazione e appunto il timore di una spirale prezzi-salari.
“La produttività può essere stata deludente dopo la crisi finanziaria, la crescita media delle retribuzioni può essere stata debole. Ma il salario minimo è stato uno strumento politico che ha aiutato le fasce più deboli” a contrastare gli effetti dell’inflazione.
E’ quanto si legge in un editoriale pubblicato sul Financial Times online. Quando è stato introdotto in Germania nel 2015, si legge nell’articolo, il salario minimo ha ridotto le disuguaglianze senza alterare le prospettive occupazionali delle persone.
E quando il governo conservatore ha utilizzato questa leva nel 2016, non c’è stato un grande effetto sulla produttività. Anzi, la mossa ha ridotto gli stipendi bassi mentre i livelli occupazionali hanno continuato a crescere.
Altri Paesi hanno seguito lo stesso approccio, dalla Corea del Sud ad alcuni stati degli Usa. Richiamando i risultati ottenuti dalla ricerca condotta dai dirigenti dell’Ocse l’autrice dell’articolo osserva quindi che il salario minimo, anche davanti a uno scenario caratterizzato da elevati tassi d’inflazione, non ha avuto i temuti effetti negativi.
Nè per quanto riguarda un aumento delle retribuzioni troppo lento e quindi non in grado di tenere il passo con l’aumento dei prezzi. Nè sul fronte opposto, cioè quello di aumenti troppo rapidi. Specie nei paesi dove ancora vige l’indicizzazione dei salari, che avrebbero potuto generare una spirale inflazionistica.
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