Italia. Derivati, rischio perdita 8 mld: per euro fu gioco da 31,7

L'Italia rischia una perdita di 8 miliardi sui derivati degli anni '90
L’Italia rischia una perdita di 8 miliardi sui derivati degli anni ’90

NEW YORK – Un gioco sui derivati per migliaia di miliardi di lire, pari, in valuta di oggi, a 31,7 miliardi di euro, fa parte della grande operazione di aggiustamento dei conti pubblici italiani che consentì all’Italia di entrare nell’ euro alla fine degli anni ’90. Un rischio di perdita, però, smentito dall’attuale ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni.

Fu un tarocco a fin di bene, ma il saldo di quel conto, cioè la perdita sui derivati da rimborsare, è alla origine di buona parte dei problemi italiani di oggi ed è valutata in circa 8 miliardi. Ma la misura del buco totale non è chiara, perché nessuno dice nulla e la fonte del quotidiano inglese Financial Times e dell’italiano Repubblica, che rivelano le cifre, è un rapporto di 29 pagine sottoposto dal Tesoro alla Corte dei Conti, che “lascia fuori dettagli cruciali e appare destinato a non dare un quadro completo delle perdite potenziai dell’Italia”.

Non è la prima volta che si parla di come i conti italiani furono aggiustati, per entrare nell’euro: bisognava fare sparire 5 punti di Pil per scendere dal 7,7 al 2,7 del deficit previsto dal trattato di Maastricht e non era certo possibile recuperare la cifra dai costi dello Stato, più facile ricorrere a operazioni finanziarie magari a rischio ma tali da non fare perdere all’Italia l’appuntamento con il treno dell’Europa. Purtroppo è mancata la crescita su cui confidavano i Governi che si sono succeduti da allora, Prodi, D’Alema e Berlusconi, per ottenere le risorse fiscali che avrebbero aiutato a pagare i debiti: ed eccoci qua. Della grande operazione di tarocco dei conti pubblici si parlò già, nel 2010 e poi nel 2011, quando il New York Times prima e il Wall Street Journal dopo rivelarono il contributo dato dalle banche americane JPMorgan e Gokdman Sachs all’occultamento del disavanzo. Venne citato uno studio, pubblicato all’estero, dall’economista italiano Gustavo Piga.

In quel periodo ”Mario Draghi, attuale presidente della Bce, era direttore generale del Tesoro” afferma il Financial Times, sottolineando che il rapporto di 29 pagine non specifica le potenziali perdite dell’Italia sui derivati ristrutturati. Ma tre esperti indipendenti consultati dal quotidiano calcolano le perdite, sulla base dei prezzi di mercato al 20 giugno, a circa 8 miliardi di euro.

Il rapporto – mette in evidenza il Financial Times – si riferisce solo alle ”transazioni e all’esposizione sul debito nella prima metà del 2012, inclusa la ristrutturazione di otto contratti derivati con banche straniere dal valore nozionale di 31,7 miliardi di euro. Il rapporto lascia fuori dettagli cruciali e non fornisce una quadro completo delle perdite potenziali dell’Italia. Ma gli esperti che lo hanno esaminato – aggiunge il Financial Times – hanno detto che la ristrutturazione ha consentito al Tesoro di scaglionare i pagamenti dovuti alle banche straniere su un periodo più lungo ma, in alcuni casi, a termini più svantaggiosi per l’Italia”.

Il documento non nomina le banche né fornisce i dettagli sui contratti originali ”ma gli esperti ritengono che risalgano alla fine degli anni Novanta. In quel periodo Roma aggiustava i conti con pagamenti in anticipo dalle banche per centrare gli obiettivi di deficit fissati dall’Unione Europea per i primi 11 paesi che volevano aderire all’euro. Nel 1995 l’Italia aveva un un deficit di bilancio del 7,7%. Nel 1998, l’anno cruciale per l’approvazione del suo ingresso nell’euro, il deficit si era ridotto al 2,7%”. Sul rapporto del Tesoro è intervenuta anche la Guardia di Finanza – riporta il Financial Times -, con perquisizioni lo scorso aprile negli uffici di Via XX Settembre. All’epoca i finanzieri bussarono anche all’ufficio di Maria Cannata, la “custode” del debito pubblico italiano, per avere maggiori informazioni.

Non è da escludere che l’uscita del documento faccia parte di una serie di documenti scomodi che tormentano l’alta finanza pubblica, l’obiettivo oltre a Draghi sembra essere  anche Vincenzo La Via, attuale direttore generale del Tesoro.

Agli inizi del 2012 emerse che l’Italia aveva pagato 2,57 miliardi di clausole di interruzione su contratti dei derivati che includevano swap sui tassi d’interesse e opzioni di swap concordati nel ’94. Un rapporto ufficiale del marzo 2012 presentato in Parlamento ha rivelato che Tesoro si era esposto in derivati per 160 miliardi di debiti.

Nel febbraio 2012 il procuratore generale delle Corte dei conti Salvatore Nottola disse: “Il danno provocato alle casse dello Stato dalle mancate entrate dei contratti derivati è particolarmente grave e delicato”. Già lo scorso anno il tedesco Der Spiegel dimostrò che nel 1998 Helmut Khol, allora Cancelliere, sapeva che l’Italia all’epoca “abbelliva” i propri conti per entrare nell’euro, ma tacque per motivi politici. Anche l’ex ministro Giulio Tremonti era tra coloro che avevano detto che l’Unione europea era al corrente dell’uso dei derivati che l’Italia stava facendo.

Il Tesoro smentisce tutto con una nota ufficiale. ”Non esiste alcun pericolo per i conti dello Stato, è assolutamente priva di ogni fondamento l’ipotesi che la Repubblica Italiana abbia utilizzato i derivati alla fine degli anni Novanta per creare le condizioni richieste per l’entrata nell’euro”. Le operazioni sui derivati sono ”sempre registrate correttamente nel rispetto dei principi contabili sia nazionali che europei. I controlli effettuati sistematicamente dall’Eurostat a far tempo dalla seconda metà degli anni Novanta hanno sempre confermato la regolarità”.

Saccomanni: “Un grande malinteso”. ”E’ un grande malinteso, non c’è nessuna perdita”: Così il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni rispondendo a una domanda sul caso derivati. ”E’ stato un normale controllo periodico della Corte dei Conti,ha detto, non c’è nessun aggravio sui conti pubblici”.

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