ROMA – Iva aumenta al 22% a ottobre, a meno di miracoli o ritorno Imu. L’aumento dell’Iva previsto per ottobre si farà, il Tesoro non riesce a trovare il miliardo necessario al blocco, quindi l’aliquota passerà dal 21% al 22. Non c’è ancora la certezza assoluta ma, senza l’aumento, resterebbe la tassa sulla casa. L’alternativa è secca: o l’Iva o l’Imu, risorse per sterilizzare entrambe le tasse non ce ne sono.
Addirittura, ma solo Il Giornale ne dà notizia, esisterebbe una corrente di pensiero al Tesoro che ipotizza l’aumento di 2 punti per restare nella soglia del 3% sul Pil e contestualmente ridurre il cuneo fiscale. In ogni caso, il rallentamento dell’economia insieme ai richiami dell’Europa ad un riequilibrio della tassazione sui redditi immobiliari e sui consumi, ribaditi oggi dal commissario Ue, Olli Rehn, rendono sempre più stretto il sentiero per un intervento che blocchi lo scatto di un punto percentuale dell’Iva.
Ormai è praticamente certo, l’economia italiana arrancherà quest’anno ben più del previsto con nuove grane per il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Oltre a fare i conti con Imu, Iva e finanziamento della Cig, il Tesoro dovrà ora valutare attentamente anche l’impatto che un calo del Pil maggiore delle aspettative avrà sul deficit pubblico, di nuovo sotto scrupolosa attenzione da parte dell’Ue.
Per reperire risorse, il governo ha deciso dunque di puntare su una nuova carta, quella degli investimenti esteri, spesso latitanti nel nostro Paese, ma che ora l’Italia tenterà in tutti i modi di attrarre nel più breve tempo possibile. Che l’economia sarebbe arretrata quest’anno più del -1,3% stimato nel Def ad aprile era nell’aria da qualche settimana, soprattutto dopo i dati Istat sul secondo trimestre dell’anno e sulla produzione industriale di luglio.
La conferma, in vista della nota di aggiornamento dello stesso Def attesa per venerdì è arrivata dal viceministro all’Economia, Stefano Fassina. ”Il -1,3% indicato dal Def è un dato superato. Ci sarà una riduzione – ha spiegato – e la stima sarà sostanzialmente in linea con le previsioni di consenso”. Previsioni che in larga parte, tenendo conto anche della crescita acquisita indicata per quest’anno dall’Istat a -1,8%, calcolano un calo compreso tra il -1,8% di Fmi e Ocse e il più ottimistico -1,6% di Confindustria.
Caduta del Pil si traduce però automaticamente in aumento del deficit, fissato dal Def di primavera al 2,9%. Mezzo punto di crescita in meno porta ad un inevitabile scostamento di qualche decimale. I conti a Via XX Settembre sono ancora in corso ma l’impatto potrebbe ammontare a circa 2 miliardi per non superare il tetto del 3%.
Saccomanni e il suo staff sono dunque già al lavoro per cercare rimodulare la spesa, reperendo risorse con poste interne al bilancio. Il conto però non si ferma qui. In sospeso restano infatti anche i 2,4 miliardi per la seconda rata Imu, il miliardo necessario per rimandare l’aumento dell’Iva – anche se oramai sembra sfumare – e tra i 700 e i 900 milioni per rifinanziare missioni militari e cassa integrazione. In tutto, se effettivamente il governo decidesse di intervenire su tutti i fronti, le risorse necessarie supererebbero quindi i 6 miliardi.
Ma, dopo i dubbi ribaditi anche oggi da Bruxelles sull’operazione Imu e Iva, non è detto che il pacchetto sia approvato in toto. Già non intervenendo sullo scatto dell’aliquota, rimodulando la seconda rata Imu e riducendo il più possibile lo scostamento di deficit, le coperture potrebbero scendere a circa 4 miliardi. Cercando di muoversi intanto anche in direzione della crescita, il governo sta mettendo a punto anche un nuovo strumento di attrazione degli investimenti.
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