Jeff Bezos di Amazon: “Alle aziende piace l’invenzione, ma non vogliono affrontare i fallimenti necessari per arrivarci”

Jeff Bezos, fondatore di Amazon, intervistato da La Stampa
Jeff Bezos, fondatore di Amazon, intervistato da La Stampa

Il fondatore di Amazon Jeff Bezos, intervistato da Bruno Ruffilli per La Stampa, ha detto che “La maggior parte delle grandi aziende sposa l’idea dell’invenzione, ma non vuole confrontarsi con la serie di fallimenti necessaria per arrivarci”. Bezos è sbarcato in Italia per annunciare i suoi investimenti: un grande centro di distribuzione vicino a Roma (60 mila metri quadri a Passo Corese, 150 milioni di euro per 1.200 posti di lavoro), un centro di ricerca a Torino e un polo di distribuzione ad Avigliana (vicino Torino).

Bezos ha incontrato Matteo Renzi, che lo ha accorto a braccia aperte così come il presidente del Consiglio usa fare con i grandi manager, ed è stato intervistato – come una popstar, un guru della stessa religione di Steve Jobs – da La Stampa e da Repubblica. Il 5 luglio scorso il direttore della Stampa Maurizio Molinari aveva annunciato: “La Stampa è il primo quotidiano gratis su Amazon Underground, la piattaforma che offre migliaia di applicazioni, giochi e acquisti in-app al 100% gratuiti”.

Alla Stampa Bezos ha spiegato le ragioni del successo di Amazon. Un successo che Bezos ritiene “innaffiato” dai fallimenti:

«Siamo il miglior posto del mondo dove fallire (e abbiamo molta esperienza in merito!)», ha scritto qualche mese fa agli azionisti. «Fallimento e invenzione sono gemelli inseparabili. La maggior parte delle grandi aziende sposa l’idea dell’invenzione, ma non vuole confrontarsi con la serie di fallimenti necessaria per arrivarci».

LE SCELTE. «Sono fiero quando per Amazon scelgo la via più coraggiosa, magari più difficile e meno remunerativa, ma più innovativa. All’inizio eravamo solo esperti di vendite online, così quando abbiamo puntato sull’hardware e sui servizi, con il Kindle e il suo store siamo partiti da zero. Come bambini, abbiamo camminato e inciampato, ci siamo scottati, ma abbiamo seguito la nostra intuizione. È stata un’esperienza che ci ha fatto crescere».

I PRINCIPI DI AMAZON. «Abbiamo tre principi fondamentali. Primo, l’ossessione per il cliente, anziché per i concorrenti, poi la continua ricerca dell’innovazione, e infine la pazienza: pensiamo sul lungo termine, sappiamo aspettare i risultati».

L’APPROCCIO. «Paragonarmi a Steve Jobs è un grande complimento, che sinceramente apprezzo. Ma non è così che mi vedo io: ad Amazon abbiamo il nostro approccio, seguiamo una strada che è solo nostra».

IL NOME. «Abbiamo preso il nome dal Rio delle Amazzoni, il fiume più grande del Pianeta: fin dall’inizio la nostra idea era offrire la più vasta selezione di prodotti al mondo».

Bezos è stato intervistato anche da Massimo Russo di Repubblica. Ha risposto a domande sul futuro dell’informazione (Bezos è da poco l’editore del Washington Post), sul metodo di lavoro della sua azienda, su un’inchiesta del New York Times “Wrestling big ideas in a bruising workplace” che evidenziava il lato oscuro del successo di Amazon, sulla candidatura di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

A cinquantadue anni, abito grigio e camicia bianca, l’imprenditore è a Firenze per una breve vacanza con la moglie, scrittrice. Minuto e tonico, taglio di capelli che ricorda il quadrato ufficiali della serie di fantascienza Star Trek, di recente è divenuto il terzo uomo più ricco del mondo dopo Amancio Ortega, patron di Zara, e Bill Gates, fondatore di Microsoft.
Partiamo dall’informazione, lei ha acquistato il quotidiano “Washington Post”. Pensa che i media tradizionali possano avere un futuro? E sarà un settore che si sosterrà sulla pubblicità o sugli abbonamenti?
«Ci saranno modelli diversi, sono convinto che alcuni giornali — non tutti — ce la faranno. Accanto a loro stanno crescendo testate solo digitali, già le vediamo. Il Washington Post avrà un futuro brillante. È sempre stato uno straordinario quotidiano locale con una reputazione globale, ora abbiamo la possibilità di farne un giornale globale con una reputazione altrettanto globale. Stiamo provando la transizione da una testata che traeva molti ricavi da un numero tutto sommato ristretto di lettori, a una che realizza meno ricavi per utente, ma con una platea assai più vasta. Penso che questo sia l’approccio giusto per il Post, per altri invece potrebbe non funzionare».
Dunque il giornalismo non dovrà per forza affidarsi alla filantropia o al non profit.
«È salutare e opportuno che una testata sia in grado di sostenersi da sé. È il modello che ha funzionato a lungo, non c’è motivo per il quale non sia possibile tornarvi e questo garantisce indipendenza al giornalismo».

Amazon è nata nel ’94. Oggi ha più di centocinquantamila dipendenti e oltre cento miliardi di dollari di ricavi. Qual è la ragione di questi risultati?
“Ricordo bene quando guidavo ogni mattina per portare i pacchi da spedire all’ufficio postale, sperando che un giorno mi sarei potuto permettere un carrello elevatore per caricarli. Tutto è cambiato, ma non le cose importanti. Siamo ancora ossessionati dai clienti, ci piace inventare, essere pionieri, prendere la strada più lunga, niente scorciatoie, concentrati, fieri di lavorare bene”.
Amazon ha anche una cultura specifica. In azienda ad esempio sono vietate le presentazioni con il Power point.
“Sì, devi scrivere frasi complete, con verbi e nomi, argomenti, paragrafi. Il problema delle presentazioni è che sono facili per l’autore, perché basta mettere in fila una lista di punti, ma difficili per chi ascolta. Quando devi scrivere un documento di sei pagine, sei costretto a capire il tuo pensiero. Se scrivo, io stesso mi accorgo di aver capito meglio cosa volevo dire. Le nostre riunioni durano un’ora, un’ora e mezza. I primi trenta minuti li passiamo in silenzio, leggendo il documento e prendendo appunti. Dopo si discute. Leggere in silenzio migliora la qualità della conversazione”.

Alcuni prodotti di Amazon, come il lettore di ebook Kindle, o i servizi Aws per le imprese, hanno scardinato i rispettivi settori, innovando radicalmente. Qual è la ricetta dell’innovazione?
“Semplice. Migliorare l’esperienza del cliente. Per essere tale, un’innovazione deve essere adottata dai consumatori. Se non la scelgono, se preferiscono la strada vecchia, non c’è innovazione. Amiamo inventare e siamo disposti a fallire. I grandi vincitori, come Kindle e Aws, ti ripagano dei fallimenti. Il fallimento è costoso, è imbarazzante, è spiacevole. In alcune culture può anche essere la ragione della tua rimozione, del tuo licenziamento. Invenzione e fallimento sono la stessa cosa, non puoi avere l’una senza l’altro”.
Si ricordano sempre i successi, ma i fallimenti? Qual è stato il suo più grande fallimento?
“Ce ne sono stati moltissimi. Non basterebbe il tempo di quest’intervista per elencarli. Un esempio. Uno dei più grandi si chiamava “Le aste di Amazon”, quindici anni fa. Pensavo fosse un sistema ottimo, solo mia madre diceva di averlo usato, ma forse nemmeno lei. Abbiamo riprovato due anni dopo, ancora niente da fare. Alla fine è uscito “Amazon Marketplace”, che dopo altri diciotto mesi diventò il quattro per cento di tutte le nostre vendite. A quel punto abbiamo capito che finalmente avevamo trovato un vincitore. Testardi nella visione e flessibili nei dettagli”.

Amazon è conosciuta per il suo rigore e la sua frugalità. Ma l’anno scorso un’inchiesta del “New York Times” denunciò un clima di pressione eccessiva sui dipendenti. Come reagisce a queste critiche?
“Il public editor del New York Times ha riconosciuto che in quell’articolo c’erano molte imprecisioni, così come spiegammo noi. Ma la miglior risposta che posso darle è che non si può fare quel che facciamo con persone infelici, che trascorrono la giornata a guardare l’orologio. Ci vuole creatività, devi svegliarti sotto la doccia pensando ai tuoi clienti. Devi avere persone coinvolte, che trovino un senso in quel che fanno. Una cosa giusta quell’articolo la diceva, che lavoriamo duro. Ma non penso che siamo i soli. Ci vogliono persone cui piaccia il cambiamento. Altri preferiscono la stabilità. Ma internet non è il posto giusto per loro “.

Questa settimana lei è diventato il terzo uomo più ricco del mondo. È noto per la morigeratezza. Che significato ha il denaro per lei?
“Sono la persona più fortunata del mondo. Sono nato in un Paese che permette di intraprendere, ho avuto modelli straordinari, una famiglia che mi ha aiutato. Le persone che ammiro di più sono quelle che crescono tra le difficoltà e nonostante tutto ce la fanno. Non è il mio caso. Ho quattro figli, la mia vita mi piace. Grazie ad Amazon ho la possibilità di lavorare nel futuro e questo per me è un sogno, mi dà un senso. Una volta provveduto alle necessità di base, al sostentamento, alla salute, credo questo sia quel che tutti cercano: l’idea che quel che fanno serva a rendere il mondo un posto migliore “.

Torniamo al presente. C’è un rapporto difficile tra molte aziende americane di tecnologia e l’Europa: dalla privacy alla questione delle tasse.
“Le domande semplici alla fine, eh? Ci sono diversi dossier che riguardano le aziende di tecnologia e l’Europa. Prendiamo il tema della privacy dei cittadini rispetto alla sicurezza nazionale. È una faccenda per la quale ancora non abbiamo una soluzione. Quanto alle questioni regolatorie, voglio dire una cosa: la prima cautela che dovrebbero utilizzare i legislatori è la prudenza. Bisogna essere cauti per non danneggiare l’innovazione. Certo le norme servono, ma bisogna ragionare bene su quale sia il modo migliore di applicarle”.

Perché investite qui in Italia?
“Ci piace il vostro mercato, e ai consumatori italiani piacciono i nostri servizi. Siamo arrivati solo nel 2010, ma sta andando bene. In Italia abbiamo investito cinquecento milioni di euro”.
Diego Piacentini, uno dei suoi top manager, a breve diventerà consulente del governo per l’innovazione.
“Diego è un collega e un amico, siete fortunati. Lo conosco da vent’anni e mi ha sempre detto che un giorno sarebbe tornato per sdebitarsi con il suo Paese”.
Una volta terminato il mandato Piacentini tornerà in Amazon?
“Gli ho detto che può tornare quando vuole, magari anche domani. No, (ride), domani meglio di no. So che tiene molto a questo suo nuovo impegno, è una sua passione”.

Lei ha incontrato il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Un consiglio per lui?
“Il vostro premier è molto interessato al modo in cui la tecnologia può migliorare la società, dalla digitalizzazione del Paese a come si può aumentare la produttività, innovare nella pubblica amministrazione “.

Pensa che Donald Trump sia adatto a fare il presidente degli Stati Uniti?
“Un candidato alla presidenza dovrebbe essere felice di essere messo sotto esame, in discussione. Abbiamo un pezzo di carta negli Stati Uniti, dice che esiste libertà di parola. Si chiama Costituzione. Ma se nessuno la rispettasse, non avrebbe alcun rilievo. La ragione fondante delle leggi è che i cittadini credano in esse. Altrimenti non avrebbero senso. Se credi nella libertà di parola, specie come candidato, hai il dovere di rispettarla e dire: ‘Venite qui, sono a vostra disposizione, esaminatemi'”.

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