In poco più di 30 anni, i salari in Italia sono diminuiti mentre sono cresciuti in Germania, Francia e Spagna. Secondo un rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil, che ha calcolato la differenza, a prezzi costanti, tra il 1991 e il 2023, i salari italiani segnano un calo di 1.089 euro, contro i +10.584 euro dei tedeschi, i +9.681 euro dei francesi e i +2.569 euro degli spagnoli.
C’è “una emergenza salariale” e “bisogna porre con forza la questione”: l’aumento dei salari, insieme al rinnovo dei contratti, per un nuovo modello economico e sociale “sono punti centrali” dello sciopero del 29 novembre.
Lo sottolinea il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa, rimarcando che “ci sono quasi 6 milioni di lavoratori nel nostro Paese che non superano 11mila euro l’anno”.
In effetti, che l’Italia abbia un problema di stipendi è certificato anche dal rapporto della Commissione europea sulla convergenza sociale. “I salari italiani – si legge – sono strutturalmente bassi: tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%”.
I salari nominali “sono rimasti allo stesso livello negli ultimi 23 anni, -0,9%, mentre alcuni Paesi presi come riferimento e spesso paragonati all’Italia, ovvero Francia e Germania, mostrano tassi di crescita rispettivamente del 21% e del 14,8%”.
Nell’ultimo Salary Outlook dell’Osservatorio JobPricing, che si basa su dati Ocse, si vede che la retribuzione media annua in Italia nel 2022 rimane una delle più basse dell’area e d’Europa. A parità di potere d’acquisto, con 44.893 dollari siamo al 21esimo posto tra i 34 Paesi osservati dall’Organizzazione. La media è a 53.416 dollari e siamo più vicini al Messico (ultimo) che all’Islanda prima.