La tragedia greca

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 20 Maggio 2011 - 12:45 OLTRE 6 MESI FA

La Bce, che non può rinnegare il proprio scopo fondante, cioè la difesa dell’euro, non ci sta a nessuna forma di ristrutturazione e punta invece su una nuova tranche di aiuti (40-60 miliardi) che dovrebbe essere sufficiente a coprire le necessità finanziarie di Atene per tutto il 2012 e parte del 2013, evitandole un quasi impossibile ricorso al mercato (senza questi soccorsi, per i prossimi cinque anni la Grecia dovrebbe piazzare 138 miliardi di titoli pubblici su un mercato che ormai è arrivato a chiedere il 24 per cento di interessi per i bond a due anni e più del 15 per quelli decennali). E’ auspicabile che sul futuro pacchetto di aiuti finanziari i paesi dell’eurogruppo non applichino i tassi capestro decisi lo scorso anno: erano più del doppio dei tassi che l’Italia riconosceva sui propri titoli pubblici di analoga scadenza. L’esosità fu allora voluta soprattutto dalla Germania, timorosa che un’apertura di credito troppo “facile” incentivasse il “moral hasard” dei governanti greci, favorisse cioè la continuazione di una politica di spesa facile.

Il paese di Frau Merkel, se anche dovesse abbandonare la strada preferita della “ristrutturazione” del debito, non rinuncerà a richiedere fino all’ultimo che, a fronte di nuovi prestiti, siano poste condizioni di politica economica molto stringenti. La cancelliera ha già dato numerosi segnali in questo senso, dalla richiesta che in Grecia si riducano le ferie a quella di aumentare l’erà pensionabile almeno ai livelli tedeschi (67 anni che sul lungo periodo dovrebbero diventare 69). Si vedrà se i ballon d’essai della Merkel hanno una funzione soprattutto interna, per il suo elettorato che non vuol pagare i conti d’altri (soprattutto di altri che fanno più vacanze e vanno in pensione prima), o se vorrà mantenere i diktat più duri.

In ogni caso, come era stato previsto anche nel precedente intervento di salvataggio, tutti i membri dell’eurogruppo sono d’accordo sul fatto che la Grecia dovrebbe impegnarsi a un piano di risanamento della finanza pubblica “lacrime e sangue”, magari meno duro di quello preteso da Berlino ma più severo di quello, in una certa misura disatteso, concordato l’anno scorso e che già ha provocato scioperi, manifestazioni antigovernative e quant’altro da parte delle categorie che si sono viste decurtare retribuzioni e privilegi. Ribellioni, peraltro, che a oggi sono tutt’altro che concluse.

Il governo di George Papandreou, d’accordo con Ue, Fmi, e Bce, questa volta spera di evitare un riacutizzarsi delle tensioni sociali puntando tutto sulla vendita (o svendita) del patrimonio pubblico. L’obiettivo è raccogliere 50 miliardi di euro – da portare a riduzione del debito – mettendo sul mercato autostrade, la quota statale della più grande società europea di giochi d’azzardo, l’Opap, ferrovie, imprese energetiche pubbliche, l’aeroporto di Atene e molti beni immobili. Non si tratta di una sfida di poco conto. Innanzitutto perché la realizzazione di questi assets dovrebbe avvenire in tempi brevi per consentire un rapido taglio del debito e del suo servizio. In secondo luogo perché in oltre vent’anni la Grecia ha realizzato privatizzazioni per meno di 30 miliardi.

C’è da aggiungere che il programma di risanamento varato lo scorso anno ha certamente contribuito, con le sue decurtazioni ai redditi e quindi ai consumi, a tenere sprofondato il paese ellenico nella recessione e a impedire una riduzione del rapporto deficit/Pil (oggi superiore al 10 per cento) e debito/Pil. Il problema maggiore è che le misure attuate e quelle previste, anche se realizzate in massima parte, al più possono permettere il “galleggiamento” della finanza pubblica greca. Sono in grado cioè solo di momentaneamente le falle di una nave con una zavorra eccessiva, vale a dire un debito pubblico ora attorno al 150 per cento del Pil, che tende a crescere ulteriormente e il cui rifinanziamento è sempre più difficile. A fronte di questa massa debitoria, inoltre, la ricchezza finanziaria delle famiglie greche è assai modesta e la quota di debito pubblico ellenico detenuta da investitori esteri è elevatissima: tutti fattori che accentuano l’instabilità. Anzi, hanno un’importanza per certi versi maggiore del mero rapporto debito/Pil (è stato osservato che se il debito è detenuto prevalentemente da risparmiatori dello stesso paese emittente, come è il caso del Giappone, che ha il record mondiale dell’indebitamento, e anche dell’Italia, è sempre possibile, ad esempio mediante un’imposta patrimoniale, evitare il default).