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Lavorare a maglia fa bene al cervello. Lo dice la scienza

Lavorare a maglia fa bene al cervello. Lo dice la scienza. Lo dice, per essere precisi, l’Istituto neurologico Besta di Milano.

Cosa dice lo studio

Gli scienziati lo hanno portato a termine arruolando 40 volontarie e volontari esperti di knitting – di età compresa tra i 27 e i 63 anni – e registrando la loro attività cerebrale. Fra le principali evidenze emerse dalla ricerca, presentata nel capoluogo lombardo e disponibile in versione preprint (non ancora sottoposta a revisione paritaria) sulla piattaforma ‘MedRxiv’, c’è anche l’impatto positivo sulle pazienti oncologiche: lavorare a maglia le rende più concentrate, consapevoli e informate durante il colloquio con gli oncologi.

Questa ricerca ci permette di osservare per la prima volta come il lavoro a maglia sia uno strumento efficace per sostenere l’empowerment del paziente e delle pazienti – osserva Alberto Costa, presidente di Gomitolorosa, e oncologo senologo riconosciuto a livello internazionale per il suo contributo all’avanzamento della cura dei tumori al seno – Da medico posso dire che questo porta con sé quattro benefici: promuove la consapevolezza delle pazienti e consente loro di comprendere più a fondo la propria salute, la malattia e le opzioni di trattamento; aumenta l’aderenza al trattamento, perché quando i pazienti sono coinvolti attivamente nelle decisioni riguardanti la propria salute, sono più propensi a seguire le indicazioni mediche e a impegnarsi in modo proattivo nei percorsi di cura; migliora la qualità della cura e, infatti, pazienti informati e coinvolti possono collaborare in modo più efficace coi professionisti sanitari, portando a una migliore comprensione delle esigenze del paziente e a una cura più personalizzata e mirata”. Infine il quarto punto: il tricot “riduce l’ansia e la paura – evidenzia Costa – Con una maggiore conoscenza e controllo sulla propria situazione di salute, i pazienti possono ridurre l’ansia e la paura associate alla malattia, migliorando il loro benessere emotivo complessivo”.

A realizzare il lavoro scientifico che è stato inviato alla rivista ‘Scientific Reports’ ed è attualmente sottoposto ai processi di revisione per la pubblicazione, sono stati Davide Rossi Sebastiano, responsabile dell’Uo Neurofisiopatologia e capo progetto; Pietro Tiraboschi, responsabile della Struttura semplice Clinica delle demenze; Cristina Muscio, psicologa clinica, e le ingegnere Elisa Visani e Dunja Duran.

“L’aspetto innovativo della ricerca – sottolinea Rossi Sebastiano – è il fatto che si dimostra come il lavoro a maglia influisca positivamente sull’attenzione delle persone che praticano questa attività, migliorando l’allerta e l’orientamento, che influiscono sullo ‘stato di attivazione’ della persona in preparazione alla capacità di direzionare l’attenzione verso gli ‘stimoli’ rilevanti. Nelle persone che lavorano a maglia con una certa assiduità, anche una breve sessione aumenta l’attenzione, anche nel periodo successivo al termine del lavoro a maglia. Ulteriore aspetto innovativo è che questa attenzione si raggiunge subito, appena iniziato il lavoro, e viene mantenuta anche dopo aver finito per ulteriori 15-20 minuti”.

“Lavorare a maglia distrae dalle preoccupazioni, aiuta a percepire meno il dolore, agevola i processi di socializzazione e migliora l’autostima perché implica un obiettivo e il suo raggiungimento – aggiunge Costa – Tale incremento di attenzione è importantissimo per chi sta vivendo un percorso di cura, in quanto consente di comprendere meglio la propria malattia e le misure da prendere per superarla e raggiungere la guarigione. È un fenomeno ben noto in psico-oncologia ed è chiamato ‘patient empowerment’, potenziamento mentale del paziente, che diventa molto più capace di comprendere la propria malattia e gli effetti sul proprio corpo, cerca attivamente informazioni ed è in grado di formulare domande per lui rilevanti a medici e operatori sanitari. Una comunicazione efficace tra medico e paziente comporta notevoli benefici. Aumenta infatti la soddisfazione del paziente e ha un impatto positivo sulla qualità di vita e sul processo di guarigione”.

Gianluca Pace

Laureato in Storia contemporanea, a Blitz quotidiano dal 2011. Qui mi occupo, si fa per dire, di quel che accade in questa misera Italia e nei dintorni. Con queste poche righe dovrei mettere in risalto, con un po’ di ironia e senza farlo notare troppo, le mie poche qualità. Ma insomma, alla fine che ci frega?

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