Lavoro a tempo determinato: la cura o un male peggiore?

ROMA – Passare la vita  ad andare dove ti porta il lavoro: quella che fino a ieri sembrava la descrizione dell’occupazione di pochi giramondo è oggi la realtà comune dei lavoratori a tempo determinato.

Il New York Times tratteggia il ritratto dei lavoratori a scadenza in Germania, paese in cui il numero dei contratti a tempo ha raggiunto quasi il milione, circa il 3 per cento del totale della forza lavoro. Una presenza che ha giocato un ruolo fondamentale nell’aiutare la Germania a superare la recessione del 2009, grazie al fatto che i lavoratori sono stati rapidi nell’adeguarsi alla crisi accettando stipendi più bassi.

L’altro lato della medaglia, sottolineato dai critici, è che la mancanza di qualsiasi limitazione alle imprese nelle assunzioni a tempo determinato ha originato una vasta schiera di lavoratori con paghe miserrime, e con pochissime possibilità di ottenere un contratto a tempo indeterminato.

Ora che l’economia si sta, seppur lievemente, riprendendo, i sindacati stanno premendo per un cambiamento a livello legislativo e colloqui tra le parti.

“Facciamo lo stesso lavoro di prima per una paga minore”, spiega al New York Times Peter Hintermeier, operaio tedesco di sessant’anni, che guadagna 9 euro l’ora.”Per di più veniamo considerati male dagli altri dipendenti, che ci vedono come un pericolo per la nostra competitività low-cost”.

Il lavoro temporaneo, un’industria in continua crescita in tutta Europa, potrebbe ottenere un maggior potere dal primo maggio, proprio il giorno della festa del movimento dei lavoratori, quando Germania e Austria apriranno i propri mercati del lavoro ai cittadini dei paesi che sono entrati a far parte della Unione nel 2004. In quel caso le agenzie interinali tedesche avranno la possibilità di assumere manodopera da paesi con bassi salari come la Polonia.  Una possibilità che sicuramente aumenterebbe la pressione sui lavoratori.

La questione è: un lavoro a tempo determinato e con un salario basso è veramente sempre migliore della disoccupazione? Certo, in Germania la diffusione dei contratti a tempo ha prodotto un crollo della disoccupazione, passata dal 12 per cento del 2005 al 7 per cento di oggi. Inoltre ha permesso a molte aziende in crisi di restare nel proprio paese e non percorrere la strada della delocalizzazione. Ma la precarietà del lavoro – e l’Italia in questo è maestra – ha conseguenze sulla vita complessiva dei lavoratori: mancano i soldi, non si fanno figli, manca un contratto sicuro, non si ottengono mutui, e così tutta la vita diventa precaria.

Il problema, denunciato anche da diversi sindacati, è che in molti casi i lavoratori con contratto a tempo determinato – e con salari e trattamenti meno favorevoli – stanno prendendo i posti dei lavoratori a tempo indeterminato: si va, insomma, nella direzione della “sostituzione” complessiva della manodopera.

In media i lavoratori a tempo determinato guadagnano il 20 per cento in meno dei loro colleghi a tempo indeterminato, e in certi casi la differenza raggiunge il 40 per cento. E solo nel 10 per cento dei casi un contratto a tempo determinato si trasforma prima o poi in uno a tempo indeterminato.

In attesa del primo maggio gli esperti sono divisi sull’ondata di lavoratori romeni e slovacchi che potrebbe arrivare in Germania. Berlino ha imposto un minimo salariale per i lavoratori a tempo determinato di circa7,8 euro l’ora nella più ricca Germania occidentale e 6,9 euro l’ora nella Germania orientale. Non molto per gli standard tedeschi, ma abbastanza per evitare uno sfruttamento eccessivo della manodopera slovacca e romena.  Almeno per adesso.

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