Pensioni, al lavoro fino a 75 anni. Riforma Fornero, cosa cambia da gennaio 2013

Pubblicato il 4 Dicembre 2012 - 09:53 OLTRE 6 MESI FA
Le pensioni degli stakanovisti: cosa cambia da gennaio 2013

ROMA – Pensioni, da gennaio 2013 la riforma Fornero consentirà di uscire dal lavoro, in prospettiva, a 75 anni di età. La Riforma entra cioè nel vivo, portando a compimento ed attuazione anche le modifiche introdotte dal governo Berlusconi. Per un po’ ancora vigerà la compresenza dei due regimi previdenziali (esodati per qualche anno, nel 2012 è andato in pensione chi aveva maturato i requisiti nel 2011 ma ha atteso  parcheggiato nella cosiddetta “finestra mobile”: 12 mesi per i lavoratori dipendenti, 18 per gli autonomi). In ogni caso, al centro della riforma c’è l’aumento dell’età pensionabile, la fine della pensione di anzianità, l’entrata progressiva del sistema contributivo universale. Più in generale l’adeguamento costante di tutte le età pensionabili alla speranza di vita.

Al punto che, guardando un po’ lontano, un giovane che oggi ha 22 anni e cominciasse a lavorare, avrebbe il diritto di rimanere al lavoro, senza rischio di essere licenziato prima, fino a 75 anni.  Dal 2013, chi lo desidera, può scegliere di restare al lavoro fino a 70 anni e 3 mesi senza essere licenziato (70 anni nel 2012), cioè 4 anni in più della soglia normale di accesso alla pensione di vecchiaia. Con il conforto della legge e la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Il Corriere della Sera, che con Enrico Marro ha fatto il punto sulle pensioni (4 dicembre 2012), cita a tal proposito un libro completo ed esaustivo (esce oggi) che spiega la riforma, “Le nuove pensioni” (Oscar Mondadori), in particolare ponendo l’accento appunto sull’ascesa dell’età pensionabile. “Pensioni da stakanovisti” le chiama Angelo Raffaele Marmo, l’autore, già direttore generale della comunicazione al Ministero del Lavoro. Da gennaio la pensione si allontana per tutti di tre mesi, dal 2019 ogni due anni e non più ogni tre cambierà il tagliando che aggiorna (cioè aumenta) l’età pensionabile in ragione della aspettativa di vita (aumentata).

Finora l’aumento del’età pensionabile non era stato messo in relazione con la disoccupazione giovanile. I prospetti attuariali, cioè, non fornivano l’aggancio teorico per stabilire che il bilancio tra entrate e uscite dal lavoro sarebbe stato condizionato e posto fuori equilibrio sul versante degli ingressi. Si è, giustamente, preferito considerare l’aumento dell’età pensionabile non rinviabile per garantire la sostenibilità futura del sistema. L’evidenza empirica, drammaticamente esplicita durante la congiuntura, mostra che sono i giovani a pagarne le maggiori conseguenze in termini occupazionali.

Carlo Dell’Aringa, esperto di mercato del lavoro, ha commentato così, sul Sole 24 Ore il dato record sulla disoccupazione giovanile (36,5%): “A fronte di un livello dell’occupazione che ristagna da due anni, abbiamo avuto un aumento di quasi mezzo milione di occupati tra i 56 e i 66 anni. Ecco perché i giovani non entrano”.