In arrivo legge che affida ad “arbitro” cause per licenziamento. Pd e Cgil: “Attacco all’articolo 18”

Pubblicato il 3 Marzo 2010 - 09:26 OLTRE 6 MESI FA

È in dirittura di arrivo in Parlamento una legge che, se approvata, riformerà profondamente il diritto del lavoro introducendo, oltre al giudice, la figura di un “arbitro” che deciderà sulle cause di licenziamento. La norma entro la fine della settimana verrà licenziata dalla Commissione Lavoro di Palazzo Madama, subito dopo sarà l’Aula a dare il via libera definitivo dopo quasi due anni di passaggi tra Camera e Senato.

La legge prevede modifiche sostanziali al processo del lavoro. Al momento, infatti, in caso di controversie come le cause per licenziamento, a decidere è sempre e comunque un magistrato del lavoro secondo il principio del tentativo di conciliazione delle parti e della rapidità del processo. Qualora venisse approvata la nuova norma, invece, al momento dell’assunzione, sul contratto si potrà firmare una clausola che vincola al ricorso ad un arbitro in caso di controversia. Ed è proprio questo il punto più discusso della legge: al momento dell’assunzione, soprattutto in tempi di crisi, il potere del lavoratore è ridotto al minimo e la scelta dell’arbitro rischia di diventare una conditio sine qua non di inizio rapporto professionale con conseguente indebolimento della posizione del lavoratore.

Tra le fila dell’opposizione non mancano le proteste. Il democratico Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro, parla di un disegno di legge «eversivo rispetto all’intero ordinamento giuslavoristico» ed è tra i firmatari di un appello “Fermiano la controriforma del diritto del lavoro” contro la nuova misura. Una posizione forte per un giuslavorista che, anche nel recente passato, ha mostrato aperture significative verso le riforme del lavoro che andavano in direzione della “flessibilità”. Treu in ogni caso non è isolato: la petizione porta anche le firme del  giurista di Bologna Umberto Romagnoli, il sociologo torinese Luciano Gallino, l’ex presidente dell’Inps Massimo Paci.

Ancora più dura la presa di posizione del l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd) che parla di un attacco allo Statuto dei Lavoratori condotto con un «approccio chirurgico in cui  si fanno le “operazioni” senza andare allo scontro frontale».

Per il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni  l’attacco allo Statuto dei Lavoratori è peggiore «rispetto al 2002: allora l’attacco all’articolo 18 fu diretto ed era semplice spiegarlo ai lavoratori. Ora l’aggiramento va ben oltre l’articolo 18 impedendo addirittura di arrivare al giudice del lavoro». Preoccupata anche la Cisl, che per bocca del segretario Giorgio Santini spiega: «Non abbiamo pregiudizi nei confronti dell’arbitrato, ma ora spetta alla contrattazione fissare i paletti di garanzia per l’esercizio dell’arbitrato». La legge infatti rinvia a un accordo tra le parti che però se non arriverà entro un anno lascerà spazio a un decreto del ministro del Lavoro.

Lapidario, in difesa del provvedimento, il pidiellino Giuliano Cazzola relatore del disegno di legge alla Camera: «Bisogna smetterla di considerare i lavoratori come dei “minus habens”, incapaci di scegliere responsabilmente e consapevolmente un percorso giudiziale o uno stragiudiziale (l’arbitrato, ndr), per dirimere le loro controversie di lavoro».