ROMA – Legge Stabilità di carta velina: prova Europa può aprire buchi. Nel Consiglio dei ministri di martedì 15 ottobre le cose non sono andate come il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni aveva sperato. Saccomanni si era presentato a Palazzo Chigi con la sua proposta più importante in cartella: meno spese per quattro miliardi nella sanità, in modo da finanziare il taglio delle imposte sul lavoro e le imprese nei prossimi anni. Invece, riferisce Federico Fubini su Repubblica, le obiezioni di Beatrice Lorenzin, ministro della Salute e di alcuni altri ministri, “hanno prevalso in pochi minuti”. Commenta Federico Fubini:
La fragilità di tante delle misure poi approvate è dunque facile da capire, ma questo non le renderà più accettabili all’esame che è già partito in Europa. Degli 8,6 miliardi di euro alla voce «risorse», più della metà restano vaghi: sono entrate non ripetibili a fronte di oneri di bilancio permanenti, oppure hanno un impatto così incerto che neanche il governo oggi è in grado di valutare quanto frutteranno. Se nulla cambia nei prossimi giorni, difficile che difetti del genere sfuggano alla lente della Commissione e all’Eurogruppo dei ministri finanziari. Il rischio che Bruxelles chieda al governo di correggere alla manovra non è affatto scongiurato.
Il problema non sono solo i tagli di spesa , è soprattutto la voce “risorse”, che provoca dubbi:
Si parla di 3,2 miliardi derivati da «dismissioni, rivalutazione cespiti e partecipazioni, trattamento perdite». Che significa? In primo luogo il Governo annuncia, dopo aver già compiuto una scelta simile nella manovrina d’autunno, un altro mezzo miliardo di finanziamento attraverso la vendita di beni demaniali. È come fare la spesa vendendo un mobile di casa, invece di usare quelle entrate straordinarie per ripagare vecchi debiti. Ci sono poi altri 2,2 miliardi che in teoria – entreranno nelle casse dello Stato con la «revisione del trattamento delle perdite di banche, assicurazioni e altri intermediari». In sostanza il governo offre più deduzioni fiscali alle banche che subiscono perdite quando i clienti non rimborsano loro i prestiti. È una scelta ragionevole per aiutare gli istituti a disfarsi delle sofferenze. Ma ciò dovrebbe fruttare allo Stato oltre due miliardi in più l’anno prossimo. Possibile? Il calcolo deriva dal fatto che le banche nel 2014 potranno portare a deduzione solo un quinto delle perdite su credito, poi il resto nei cinque anni successivi. Ma i calcoli di Gianluca Codagnone e Fabrizio Bernardi, due analisti di Fidentiis, suggeriscono che il governo ne deriverà introiti in più nel 2014 solo se le banche porteranno a detrazione perdite ben al di sotto dell’1,5% dei crediti erogati. Con il rapido aumento in corso delle sofferenze bancarie, è una speranza eroica.
Fubini tocca poi un argomento che all’estero ha fatto alzare più di un sopracciglio:
Le banche aspettano anche che le loro quote nella Banca d’Italia siano rivalutate al termine delle stime attualmente in corso. Quell’operazione può generare circa un miliardo di entrate fiscali in più per le plusvalenze finanziarie degli istituti azionisti: i soldi servirebbero per il pagamento dei debiti commerciali dello Stato alle imprese fornitrici. La Banca centrale europea vuol vedere la manovra e, per ora, non sembra contestare questa parte. Difficile comunque che una revisione contabile sul valore di Bankitalia compia il miracolo di far quadrare i conti dello Stato”.
Per ora almeno, dice Fubini, il Tesoro non ci pensa neppure. A meno che, prima o poi, qualcuno non sia tentato davvero di ripianare i conti rivalutando ai prezzi di oggi l’oro custodito da generazioni nei caveau di Via Nazionale (e della Federal Reserve di New York per conto dell’Italia). Quello sì che sarebbe raschiare il fondo del barile.