Legge Schroeder: paese salvo elezioni perse. In Germania elettorato aveva torto

ROMA – Accadeva 10 anni fa. Germania, anno 2003: più di 5 milioni di disoccupati, stagnazione economica da tre anni, retrocessione dal 4° all’8° posto in Europa per ricchezza pro-capite, impatto drammatico di una riunificazione che in 10 anni si era mangiata qualcosa come 1500 miliardi per sostenere la depressa ex Germania Est…

Finché Gerhard Schroeder, un socialdemocratico, non osò toccare il tabù welfare, sfidando i sindacati e la sinistra del partito: sussidi di disoccupazione a tempo e non a pioggia, obbligo di accettare il lavoro pena il divieto di accesso ai sussidi stessi, riforma sanitaria, meno tasse sul lavoro, meno vincoli sui licenziamenti, più flessibilità…

Schroeder  pagò un prezzo politico usualmente insostenibile per questo: la sconfitta a tutte le elezioni, da quelle regionali fino a quelle politiche che sancirono il ritorno della destra al potere. E, grazie alla sua Agenda 2010, il ritorno della Germania al suo tradizionale ruolo di locomotiva economica del continente. Oggi, a dieci anni esatti dal lancio dell’Agenda, la Germania conta solo 3 milioni di disoccupati, cresce come nessuno dei grandi paesi in Europa.

Nel 2008, mentre il mondo assisteva al crollo della Lehmann e all’inizio della più grande crisi dal 1929, la nazione tedesca raggiungeva il suo secondo “miracolo economico”, dopo quello del dopoguerra. Merito dell’Agenda 2010 ha certificato la Bundesbank. Merito di Schroeder che orgogliosamente rivendica il suo ruolo di statista: “Ho anteposto gli interessi del Paese a quelli del partito”.

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