Il petrolio libico e la benzina italiana: ecco perché aumenta il prezzo del carburante

Pubblicato il 2 Marzo 2011 - 10:49 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Come si immaginava, la prima diretta conseguenza della crisi libica è stata sui prezzi della benzina. I consumatori lo temevano, e i produttori hanno confermato le previsioni: rialzi da parte di Eni, Shell, Tamoil, TotalErg, IP, Q8, Esso hanno toccato benzina e diesel.

Ma questi rialzi sono davvero giustificati? A chiederselo sono in molti.  A provare a rispondere è oggi Vittorio Carlini dalle pagine del Sole 24 Ore.

Carlini parte dall’analisi della struttura del prezzo di un litro di benzina: il prezzo internazionale del carburante, detto Platts (dal nome dell’agenzia privata che gestisce il mercato su cui si incrociano domanda e offerta), pesa all’incirca il 35 per cento e indica il costo della materia prima. C’è poi il margine lordo dell’industria petrolifera, che ha un peso sul prezzo finale intorno al 10 per cento. Infine la tassazione, che, tra accise e Iva, ricopre il 55 per cento.

Secondo uno studio di Nomisma Energia citato dal Sole-24 Ore, il Platts vale 53,08 centesimi al litro, il margine medio lordo 15,05, le accise 56,4 e l’Iva (20 per cento) 24,9 cent. Quindi per Nomisma il prezzo ottimale alla pompa sarebbe di 149,43 centesimi per un litro di verde. Un valore inferiore a quello medio effettivo (150,8) rilevato dal Ministero per lo sviluppo economico.

L’elemento più interessante dei calcoli sul prezzo della benzina è però un altro. Perché, a livello puramente teorico, il prezzo del carburante sui mercati internazionali definito attraverso i soli costi industriali è a un livello infinitesimamente più basso di quelli del Platts.

“In media – spiega Davide Tabarelli Presidente di Nomisma Energia – il greggio di buon livello, per esempio dell’Algeria, ha un costo industriale di estrazione di circa 3 dollari al barile. A questi, se ne devono aggiungere altri 2 per il trasporto verso la raffineria, la quale ne spenderà circa 3 nella realizzazione dei diversi derivati del barile. In totale siamo a 8 dollari al barile che, se calcolato in Platts, significa un prezzo di 3 centesimi al litro”.

“Ma nel Platts – spiega Tabarelli – la parte più rilevante della quotazione è costituita dalla rendita pagata ai paesi produttori: cioè, il margine incassato dagli stati che possiedono pozzi petroliferi”. A questo costo va aggiunta la finanziarizzazione della domanda.

Infine, e soprattutto, “nella differenza tra il Platts calcolato sui costi industriali e quello reale – dice Tabarelli – c’è anche la remunerazione dell’attività mineraria delle compagnie petrolifere, che può valere tra i 3-4 centesimi al litro”.