Libia, petrolio e contratti: Italia e Francia ai blocchi di partenza. Berlusconi l’handicap?

Pubblicato il 23 Agosto 2011 - 11:06 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Gheddafi è ancora nascosto nel suo bunker, Tripoli è tuttora stretta nella tenaglia tra i ribelli entrati in città e le bombe Nato che piovono dal cielo, che la corsa ad accaparrarsi la fetta più grossa dell’enorme torta libica è già iniziata. Pronti via, ai blocchi di partenza Francia, Stati Uniti, Italia, Gran Bretagna sono già schizzate in testa. Intanto l’Eni, che per il 13% del suo fatturato dipende da quella che fu definita una “scatola di sabbia”, ha spinto a un poderoso rialzo la Borsa di Milano. Le notizie dei feroci corpo a corpo dentro il cuore del potere di Gheddafi hanno rianimato l’anemico mercato borsistico: il 6,3% fatto registrare dal cane a sei zampe ha oscurato l’entusiasmo (si fa per dire) per il raggiungimento degli obiettivi della missione umanitaria. Eliminato il colonnello impazzito, rimpiazzato da un carovana di capi-tribù, dissidenti dell’ultimo minuto, leader religiosi ecc.. di cui a stento si conoscono i nomi, si torna a fare affari. Business as usual.

La Libia, tanto per dare qualche cifra, primo produttore  del continente africano, è seduta su 45 miliardi di barili di petrolio. E’ il dodicesimo esportatore mondiale. Prima della guerra produceva 1,6 milioni di barili al giorno, il 2% della produzione mondiale, in questi mesi era scesa a 500 mila barili al giorno. Adesso si riprenderà alla grande. Ci sono da sbrigare solo le formalità del destino di Gheddafi, dell’insediamento di un nuovo governo, possibilmente democratico, del mantenimento della sicurezza, dell’istituzione di una commissione di riconciliazione nazionale sul modello africano…Ma la gara non può aspettare, i concorrenti scalpitano.

Ovviamente le nazioni che hanno promosso la guerra coltivano le aspettative maggiori: sperano in un dividendo all’altezza dell’investimento, cinicamente parlando. Quindi prima fra tutti la Francia dell’esportatore di democrazia Sarkozy, che ha bruciato la Gran Bretagna nel sostituire gli apripista Usa, invero un po’ distratti. L’Italia, in teoria sarebbe la squadra più attrezzata. E’ il primo acquirente di petrolio libico, 12,5 miliardi di dollari nel 2010, 33,7% del totale. Ha partecipato alla guerra, è vero. Ma l’ha fatto senza troppa convinzione, oscillando spesso e volentieri tra lo spezzeremo le reni a Tripoli a umanitarismi anti-bellici improvvisati. Il rapporto strettissimo tra Berlusconi e Gheddafi, corredato da foto imbarazzanti e prestiti di amazzoni, potrebbe costituire un problema di immagine e credibilità presso i nuovi padroni del paese. Per ora i mercati non ci hanno fatto caso, Eni, Ansaldo e C. hanno recuperato alla grande.

L’obiettivo economico francese è chiaro. Punta a rafforzare con decisione il peso della Total, suo principale braccio energetico: attualmente Parigi è il secondo esportatore dalla Libia con una quota che a malapena raggiunge la metà di quella italiana. Le aspettative di crescita francesi poggiano sull’ottimo rapporto instaurato con i ribelli raggiunto sin dalla primissima ora: mercoledì Sarkozy li aspetta tutti all’Eliseo. La competizione trai Francia e Italia sarà serratissima anche per vincere i mega appalti della ricostruzione. Anche qui, almeno in teoria, l’Italia è già a buon punto, anche considerando i vecchi contratti ancora in essere per la costruzione di autostrade, università, linee ferroviarie. Un punto di compromesso dovrà necessariamente tenere in considerazione gli affari della famiglia Gheddafi in Italia: a cominciare dalla Juventus il portafoglio di titoli azionari è importante e diversificato. I nuovi padroni manterranno le quote azionarie al momento congelate in Unicredit (7,5%, primo azionista), in Finmeccanica (2%), nella Juventus (7,5%)?