Licenziati per troppa malattia? Niente conciliazione

Pubblicato il 8 Aprile 2013 - 10:05| Aggiornato il 22 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA –  Se un lavoratore viene licenziato perché ha superato il periodo di comporto (cioè il periodo massimo di malattia) non può chiedere la conciliazione. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano. Il motivo? Questo tipo di licenziamento “non si ritiene ricompreso nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo”. Allo stesso tempo il datore di lavoro deve indicare, nella comunicazione di licenziamento,  la specifica motivazione con il numero totale di assenze. In caso contrario scatta il risarcimento.

La prima delle due ordinanze del Tribunale di Milano, sottolinea il Sole 24 Ore, avalla l‘interpretazione del Ministro del Lavoro Fornero, sottolineando “la profonda diversità” tra il licenziamento per malattia e quello giustificato motivo oggettivo.

Come sottolinea il quotidiano economico, la decisione dei giudici richiama “l’inesistenza (salvo specifica previsione del contratto collettivo) di un obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore dell’imminente superamento del periodo di comporto e l’inclusione, nel computo del comporto, dei giorni di riposo (sabato e domenica) e delle festività che cadono durante la malattia”.

Il Tribunale di Milano ha anche chiarito quanto specifiche debbano essere le motivazioni per un licenziamento per troppa malattia. Nella lettera di licenziamento il datore di lavoro non è obbligato a indicare i singoli giorni di assenza per malattia, “trattandosi di eventi di cui il lavoratore ha conoscenza diretta”. Per evidenziare che il periodo di comporto è stato superato, sottolinea il Sole 24 Ore, è sufficiente indicare il numero totale di assenze in un determinato periodo. Una comunicazione di licenziamento che fa solo riferimento al superamento del periodo di comporto senza riferimenti ai giorni o alla durata complessiva delle assenze “è da considerarsi priva di specifica motivazione” perché non idonea ad informare adeguatamente “il lavoratore sulla effettiva sussistenza di un giustificato motivo di recesso”.

In questo caso

“il licenziamento è inefficace, ma il rapporto di lavoro viene dichiarato risolto con effetto alla data del licenziamento e il datore di lavoro è condannato al pagamento di un‘indennità risarcitoria determinata tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità di retribuzione. Quindi il licenziamento rimane, ma il datore “paga” la genericità della motivazione. Sempre che il giudice, su domanda del lavoratore, non accerti nel merito che il comporto non è effettivamente superato. In tal caso, il nuovo articolo 18 prevede ancora la reintegrazione nel posto di lavoro, accompagnata dal risarcimento del danno nella misura massima di dodici mensilità”.