Meglio abbracciare l’AI generativa per crescere a livello produttivo ed economico o rifiutarla, per salvare il lavoro umano?
Se l’Italia intende stare al passo con la contemporaneità, rilanciarsi in tutti quei settori in cui un tempo era un Paese rilevante e confrontarsi con le nuove possibilità collegate allo sviluppo economico non può fare a meno di aprirsi all’uso dell’intelligenza artificiale generativa. Parliamo di quel ramo dell’intelligenza artificiale che si concentra sulla creazione di nuovi contenuti utilizzando algoritmi assai avanzati.
La differenza fra l’AI di base e la GenAI è che la prima si limita a riconoscere dei pattern e a fare delle previsioni basate su dei dati esistenti, mentre la seconda è in grado di generare nuovi dati, di dar forma a contenuti originali. Quindi di simulare pensieri sintetici (cioè prodotti da una sintesi di dati esistenti) ma infinitamente versatili e funzionali. Tutto molto affascinante. E al contempo un po’ inquietante…
La paura più diffusa riguardo all’intelligenza artificiale generativa è appunto che possa rubare il lavoro a molti professionisti specializzati. A oggi la GenAI viene usata per creare testi o codici di programmazione, per realizzare o modificare immagini e suoni, ma presto potrebbe specializzarsi nella realizzazione di ogni tipo di prodotto creative (dalle campagne pubblicitarie ai progetti architettonici), nell’educazione, nella gestione delle relazioni pubbliche e nel lavoro di analisi, in quello impiegatizio. In pratica, potrebbe esserci una AI generativa al posto di ogni lavoratore occupato nel settore dei servizi.
Pochi dubbi che la GenAI avrà un impatto sul lavoro, specie quello impiegatizio. Le precedenti rivoluzioni tecnologiche hanno cambiato per sempre il lavoro manuale e di calcolo, diciamo di routine. Ora, invece, con l’intelligenza artificiale generativa a perdere il lavoro potrebbero essere i creativi, gli esperti di finanza, gli analisti, i programmatori, gli insegnanti, il lavoratore di concetto. Detta in altre parole: il laureato.
Lavoro a rischio con l’intelligenza artificiale generativa
Secondo chi se ne intende, è molto probabile che l’utilizzo dell’AI sarà per alcuni anni ancora assai poco funzionale e soddisfacente: in molti settori, l’uomo riesce ancora meglio. Ma non c’è dubbio che con i progressi dell’intelligenza artificiale generativa si arriverà presto a un mondo nuovo, fatto di diverse esigenze.
In passato ci si è preoccupati moltissimo della manodopera sostituita dalla macchina (l’operaio che ha lasciato posto al robot). Ma con l’avvento della GenAI impiegati e professionisti specializzati soffriranno molto di più di quanto non abbiano fatto operai e contadini negli scorsi decenni. Nel senso che per le aziende che forniscono servizi e per le amministrazioni sarà assai più economico affidarsi a un computer, che non pretenderà stipendio, malattia e benefit, rispetto ad assumere uomini da formare o già qualificati e però da aggiornare alle nuove esigenze del pubblico o del mercato.
Il fenomeno seguirà verosimilmente lo schema che il mondo ha vissuto con la deindustrializzazione prematura. Cioè la situazione sperimentata negli scorsi decenni da tanti Paesi in Europa con lo sviluppo delle economie emergenti e con la meccanizzazione e l’automazione dell’industria. In questo senso, molti antropologi già prevedono che l’AI darà forma alla marginalizzazione dei professionisti e degli specializzati. Creativi, esperti di materie umanistiche e scientifiche, colletti bianchi e professionisti in genere potrebbero non servire più. E quindi essere pagati sempre meno perché meno utili e convenienti di una GenAI.
Il problema è che non si può alzare un muro: chi ostacolerà l’avvento dell’AI rischia di perdere il treno del progresso e di rinunciare a tutti i vantaggi che renderanno i servizi altamente qualificati ma sempre più economici, così è già successo con la produzione industriale.