ROMA – La Corte Costituzionale ha bocciato la norma del governo Monti che decise la prescrizione anticipata della Lira. La norma approvata nel 2011 in deroga alla legge del 2002 prevedeva la prescrizione anticipata delle lire ancora in circolazione, cancellando così il termine fissato al 28 febbraio 2012 per ottenere il cambio dal vecchio conio all’euro.
La norma permise al governo Monti di ridurre il debito pubblico, favorendo le casse dello Stato con un’entrata di 1,3 miliardi di euro, ma lasciò alcun risparmiatori impossibilitati a cambiare la valuta. Proprio questi risparmiatori, che chiesero il cambio di una somma complessiva di 27543 euro, ricorsero alla Corte Costituzionale che ora gli ha dato ragione definendo illegittima la norma di Monti.
Il Sole 24 Ore spiega che il governo Monti aveva stabilito la prescrizione anticipata modificando una la legge del 2002:
“Nel 2002, infatti, la legge n. 289 aveva stabilito che fino al 28 febbraio 2012 chi avesse ancora posseduto lire avrebbe potuto ottenere dalla Banca d’Italia la conversione in euro. Ma il 6 dicembre 2011 il Governo Monti, con l’articolo 26 del decreto legge n. 201, in deroga alla legge del 2002, stabilì che «le lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata» e che «il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere assegnato al fondo per l’ammortamento dei titoli di stato». L’articolo 26, «Prescrizione anticipata delle lire in circolazione», recita così: «1. In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 ed 1 bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e all’articolo 52-ter, commi 1 ed 1 bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo ammortamento dei titoli di Stato»”.
Per la Corte Costituzionale però la norma introdotta nel 2011 ha violato l’articolo 3 della Costituzione italiane e dunque è illegittima:
“«non è dubitabile che il quadro normativo preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalità fosse tale da far sorgere nei possessori di banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza decennale, come disposto, sia dalla norma sulla prescrizione delle banconote cessate dal corso legale, sia dalla norma che prevede il diritto di convertire le banconote in euro presso le filiali della Banca d’Italia. Il fatto che, al momento dell’entrata in vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove mesi circa dalla cessazione del corso legale della lira – si legge nella sentenza n. 216 depositata oggi – non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute»”.
Una prescrizione anticipata che, per i giudici della Corte, non è giustificata nemmeno dall’interesse dello Stato a ridurre il debito pubblico:
“Nemmeno la «sopravvenienza dell’interesse dello Stato alla riduzione del debito pubblico, alla cui tutela è diretto l’intervento legislativo nell’ambito del quale si colloca anche la norma denunciata», rilevano i giudici costituzionali, «può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale in danno ai possessori della vecchia valuta, ai quali era stato concesso un termine di ragionevole durata per convertirla nella nuova: se l’obiettivo di ridurre il debito può giustificare scelte anche assai onerose e, sempre nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, la compressione di situazioni giuridiche rispetto alle quali opera un legittimo affidamento, esso non può essere perseguito senza una equilibrata valutazione comparativa degli interessi in gioco e, in particolare, non può essere raggiunto trascurando completamente gli interessi dei privati, con i quali va invece ragionevolmente contemperato»”.
Il risultato è che i risparmiatori, che hanno così vinto il ricorso, avranno ora il diritto a vedersi cambiata la valuta rimasta in loro possesso.